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DIARIO DI MONTAGNA
   
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Anno 2008

 
       

01/01/2008 – Palon di Resy – Saint Jacques – Val D’Ayas (AO)

Sveglia alle 9.00 dopo una nottata passata in montagna a “festeggiare” il nuovo anno, ci prepariamo per fare la prima escursione dell’anno. E come prima deve essere degna, decidiamo quindi di andare sul Palon di Resy a 2673 metri. Una salita non da poco, vista la stagione, la quota e il dislivello. Se poi aggiungiamo che il giorno prima ci siamo comunque sparati altri km e dislivelli, se pur senza difficoltà tecniche, comunque la stanchezza del giorno e della notte prima si sentono.

La neve non era tantissima e la giornata splendida, quindi le condizioni per la salita erano davvero ottime. Ci prepariamo e per le 11.00 arriviamo a Saint Jacques pronti per incominciare la salita. Siamo ben coperti, e dopo pochi minuti che percorriamo il sentiero ci togliamo uno strato di vestiti, anche se è pieno inverno, il sole delle montagne e la salita scaldano.

Raggiungiamo Resy, purtroppo siamo già a mezzogiorno e dopo qualche titubanza, riprendiamo il cammino verso il Palon. Mentre ripartiamo veniamo raggiunti da una persona che dopo poco ci sorpassa e rimane davanti a noi. La salita è dura, ma via via che saliamo anche il panorama diventa più bello e siamo sempre più motivati a salire. Ci mettiamo le ciaspole ai piedi perché la neve comincia ad essere più alta e visto l’orario più molle. Così facendo riusciamo a progredire più velocemente e con meno fatica, raggiungendo così l’escursionista davanti a noi.

Scambiamo quattro chiacchiere e ripartiamo. La pendenza accentuata e la neve molliccia ci fa sudare e dopo circa tre quarti d’ora finalmente arriviamo in vetta. Felici di aver raggiunto la prima cima dell’anno e con un panorama bellissimo, ci stringiamo la mano. Facciamo miglior conoscenza con Umberto, e ci sediamo tutti sulla cima a mangiarci i nostri panini. Nel frattempo altre tre persone si vedono salire e dopo qualche decina di minuti, ci raggiungono. Era una famiglia di tre persone, che anche loro avevano deciso di fare una cima il primo giorno dell’anno. Arrivati anche loro in cima, ci si scambia gli auguri; anche questo è una cosa molto bella, non ci si conosce ma in quel momento si diventa tutti amici. Parliamo di cime e di valli con la famigliola e tra le discussioni mi aveva fatto molto piacere scoprire che la figlia, credo sui 16-17 anni, praticasse scialpinismo. E’ difficile trovare ragazzi di quell’età praticare questo genere di attività, se poi si aggiunge che è una ragazza fa ancora più piacere.

L’ora di scendere è ormai purtroppo arrivata e quindi ci infiliamo le ciaspole e cominciamo a scendere. La neve soffice fa scivolare le ciaspe e sfruttando la pendenza, si riesce quasi a sciare in stile telemark. E’ divertente e per un po’ ritorno bambino, scivolando lungo il pendio e tuffandomi nella neve soffice. Facciamo qualche filmato di questa divertente discesa e poi ritornati in noi riprendiamo la discesa. La temperatura è ottima e per un po’ riesco a scendere in maniche corte, quasi come se fosse in estate. Ovviamente verso sera e rientrati nel bosco l’inverno si fa sentire e quindi mi rivesto.

Dopo un giro più lungo per evitare il sentiero di Resy un po’ ghiacciato, arriviamo a Saint Jacques e con Marco, Lauretta, Giovanni e Umberto mi fermo al bar della piazzetta di Saint Jacques a bere una birra in compagnia.

Purtroppo questa bellissima giornata volge al termine e dobbiamo tornarcene a casa in pianura per giunta.

05/01/2008 – Monte Cazzola – Alpe Devero (VB)

Bel giro su una zona delle Alpi occidentali e naturalisticamente parlando, molto ricca. Mi trovo in piazzetta alle 7.00 con Marco, Silvio e Walter e dopo aver passato a prendere Massimo, ci dirigiamo all’Alpe Devero. Sapevamo che la giornata non era bella meteorologicamente, ma comunque volevamo farci una salita anche per non perdere l’allenamento!! Ormai così si dice, ma è più perche, almeno da parte mia, diventato come una droga, non riesco a stare lontano dalle montagne. Spesso mi trovo nella condizione di dire, non ho troppa voglia, ma non di andare in montagna, quanto di andare a letto presto il Sabato anziché andare fuori a divertirmi e di svegliarmi la mattina presto e farmi quasi due ore di macchina. Questo e la salute per ora sono gli unici motivi che possono a volte impedirmi di andare in montagna. Spero che non ne arrivano altri!!

Lungo la strada piove continuamente e solo arrivati nei pressi di Baceno la pioggia si trasforma in neve. Ci fermiamo a bere il solito caffè, non deve mancare! E poi ripartiamo verso l’Alpe Devero. Troviamo pochissime macchine lungo la strada e poco dopo Baceno siamo costretti a mettere le catene alle ruote della macchina. Arrivati all’Alpe Devero, troviamo il parcheggio pieno, molta gente è ancora in vacanza da quelle parti e dopo che ci siamo cambiati, ci mettiamo in marcia.

La piana dell’Alpe è piena di neve e per quel poco che posso vedere i boschi sono carichi di neve rendendo tutto molto più bello, anche in assenza del panorama e del cielo azzurro.

Cominciamo a salire inoltrandoci nel bosco, i pendii non sono ripidi e l’ambiente naturale è stupendo. Il bosco in inverno è silenzioso, molti animali sono in letargo e la neve rende tutto ovattato lasciando a valle i rumori del caos e della gente. Risaliamo silenziosi, un po’ per la fatica e un po’ per goderci questa tranquillità ormai dimenticata. Mano a mano che saliamo la nebbia ci avvolge e quando ormai siamo prossimi alla cima vedevamo solo pochi metri davanti a noi, purtroppo questa volta non possiamo godere del panorama, ma la neve freschissima è bella e ci appaga comunque. Non è facile riuscire a trovare la neve così bella durante una ciaspolata; è molto più faticosa da battere e calpestare, ma è senza dubbio bella da vedere e sentire. Sembra di immergersi nella polvere. Questa condizione rimane per poco tempo perché appena depositata al suolo, la neve comincia già il processo di trasformazione.

Arriviamo in cima e con noi salgono altre due persone; scattiamo la foto di vetta e poi scendiamo di nuovo. Questa volta in discesa mi trovo da solo, in quanto io con le racchette non seguo lo stesso percorso dei miei amici sci alpinisti. Fortunatamente il miglioramento previsto comincia a dare i suoi effetti e con molta discrezione, mi lascia intravedere qualche scorcio di panorama, soprattutto verso valle. Dopo poco, mi trovo nel bosco da solo è bellissimo il silenzio, ogni tanto mi fermo per ascoltare il silenzio diventato raro. Spesso incute paura, ma in ambiente così è tutta un’altra cosa.

Arrivo nei pressi dell’Alpe e dopo qualche minuto mi ritrovo con i miei compagni, dove raggiunto il bar al Devero, ci mangiamo i panini prima di tornare a casa. Ovviamente il rientro è sempre nella nebbia e pioggia!! In questi giorni in pianura si vede poco il sole e non solo.

13/01/2008 – Brusson (AO) – Sci fondo

Domenica tranquilla e istruttiva a Brusson sulle piste di fondo. Oggi per la prima volta ho visto Brusson carico di neve. Finalmente una vera nevicata come si deve, purtroppo le montagne non erano sicure dal punto di vista valanghe, percui la giornata che in origine era destinata per una cima, è stata dirottata allo sci di fondo. Fortunatamente c’è sempre un alternativa anche in caso di maltempo. Basta accontentarsi ed essere polivalenti nelle attività in montagna.

Questa volta sono salito in occasione di una gita CAI, con il pullman. Già arrivati appena sopra Verrés la copertura nevosa era già presente, ma comunque molto bagnata. Da quelle parti ormai è difficile vedere la neve bella. Salendo però le cose cambiavano e già a Challand la neve era scesa parecchio. Nei pressi di Brusson vediamo alcune macchine parcheggiate di fronte ad un albergo completamente ricoperte dalla neve. Si riuscivano solo a distinguere dai tergicristalli alzati per non ghiacciare.

Raggiungiamo le piste e dopo pochi minuti sono già sulla pista. Faccio molta fatica d'altronde è la prima sciata con gli sci da pattinato e sono super impacciato. La tecnica non l’ho ancora acquisita percui scio molto male. Cerco un maestro, ma purtroppo erano tutti impegnati. Fortunatamente mentre cercavo di trovare il giusto equilibrio, mi si avvicina Gianluigi, uno degli istruttori del nostro CAI che mi invita a seguire il suo corso. Mi da qualche dritta che mi aiuta a capire bene dove sbaglio, ora sta a me a correggere la mia postura. Purtroppo, a causa di un incidente con la moto parecchi anni fa, sono rimasto fermo con la gamba destra per diverso tempo e non avendo fatto una riabilitazione vera e propria, la mia postura e la mia camminata si è sempre incentrata sulla sinistra. Perciò nei movimenti dove devo coordinare le due gambe allo stesso modo, come con il passo pattinato dello sci di fondo, ho parecchie difficoltà. Comunque a fine giornata qual cosina migliorava. Come in tutte le cose ci vuole tempo.

Dopo la sciata e la pausa pranzo con il panino al lardo avevo ancora un paio d’ore di tempo prima che il pullman partisse e decido di farmi un giro per il paese e di andare a prendere il formaggio. Mi sono fatto un bel giro turistico e fotografico di Brusson. E’ bello vedere il paese dove ho trascorso molte vacanze estive in passato in veste invernale come si deve. Le vie, le fontane e le case erano coperte da un grosso strato di neve e il paesaggio cambiava completamente aspetto. Inoltre in quel momento la giornata era diventata bella e il sole illuminava il paese con la neve. Uno spettacolo!

Purtroppo arriva il momento di tornare al pullman e quindi in pianura!

20/01/2008 – Brusson – Mangiata con la famiglia.

Questa domenica non sono molto in forma, una leggera influenza mi “impedisce” di fare qualcosa in montagna, anche perché voglio stare riguardato per la domenica successiva che devo condurre una gita della mia sezione CAI. Diciamo che se non fosse stato per quello, sicuramente avrei fatto qualcosa. In ogni caso la giornata prevista è molto bella, soleggiata e calda. Come si fa a restare a casa??

Convinco la mia famiglia a seguirmi, visto che è da tempo che dobbiamo andare a mangiare tutti assieme e quindi alle 8.00 partiamo per Brusson, per farci una bella mangiata. Arriviamo a Brusson e per prima cosa facciamo un bel giro per il paese. La giornata è caldissima e si sta fuori senza giubotto. Inoltre è la prima volta che vedo Brusson e tutta la Val D’Ayas piena di neve. Negli ultimi anni la neve cade sempre di meno e diventa quasi un evento raro vedere le valli piene di neve.

Incontriamo diverse persone che conosciamo, visto che è da ormai tanti anni che frequentiamo questi posti e tra una parola e l’altra dobbiamo correre al ristorante dove abbiamo prenotato il tavolo.

Arriviamo a Barmasc dopo aver fatto la gincana tra gli sciatori che affollavano gli impianti di risalita di Antagnod. Le piste sono davvero affollate.

Raggiungiamo il piccolo ristorante e ci mangiamo un bel piattone di polenta e salsiccia a testa, con affettati misti e dolce.

Per finire giro veloce a Champoluc per trovarmi con Marco e Alessandro, che erano andati a ciaspolare.

Giornata rilassante e piacevole è un grazie alla mia famiglia a cui voglio veramente bene.

27/01/2008 – Sanit Jacques – Lago Blu e Pian di Verra – Gita CAI

Oggi in programma c’è la prima della serie di ciaspolate da me organizzate per il CAI di Abbiategrasso. La partenza è fissata per le 6.30 dal solito piazzale direzione Saint Jacques, ancora la Val d’Ayas!! Questo è il mese della Val d’Ayas, sono sempre li!!

Arriviamo a Champoluc per primi visto che io e altri siamo saliti con la macchina perché il pullman era pieno zeppo, e vado a ritirare le ciaspole al noleggio. Quando il pullman arriva salgo con i ciaspolatori per raggiungere Saint Jacques.

Il tempo non è bellissimo, c’è un po’ di vento, tra l’altro caldo, e il cielo si sta velando. In ogni caso il meteo dava tempo piuttosto stabile e con forte vento da nord, ma con velature alte. Lasciamo il pullman e ci dirigiamo all’attacco del sentiero, dove indossiamo le ciaspe. Mi diletto in una breve spiegazione sul funzionamento e utilità dell’ARVA e delle ciaspole per chi non li ha mai visti e partiamo diretti verso il Pian di Verra inferiore. Inizialmente la giornata è calda e salendo lungo la carrabile ci manca poco che procediamo in maglietta. Mano a mano che salgo il vento comincia a rinforzare e arrivati al Pian di Verra è piuttosto forte. Siamo sotto le cime ovest del Monte Rosa, quindi il vento da nord si sente molto e per effetto del Foen si scalda scendendo verso valle. Raggiungiamo le baite della piana e dopo un breve consulto decidiamo di salire fino al Lago Blu. Il cielo si è coperto, non è minaccioso, ma il sole non c’è e quindi non ci permette di ammirare tutta la piana e le cime circostanti con la bella luce invernale.

Un gruppetto si è già messo in cammino, mentre noi aspettando che tutti si sistemano dopo la breve pausa, ripartiamo dopo qualche minuto. Mano a mano che saliamo le raffiche di vento sono sempre più forti e la neve sbatte contro le nostre facce, impedendoci di tenere gli occhi aperti, con un effetto “sabbiatura” sulla faccia!! In un certo senso sono preoccupato, per gli accidenti silenziosi che la gente che sto portando in giro mi stanno tirando. Ma poi da un indagine complessiva ho visto che sono tutti abbastanza contenti e gradiscono il posto nonostante il meteo avverso.

Raggiungiamo il Lago Blu, con raffiche di vento e neve che riescono quasi a spostarci. Ci dobbiamo tenere ai bastoncini per restare in equilibrio e non riusciamo nemmeno ad osservare il lago perché rivolto a nord proprio da dove proviene il vento. Ricompattato quello che rimane del gruppo, altri si sono dileguati e ci aspettano alla piana, ci accingiamo a scendere. Dopo pochi minuti ridiscendiamo nella piana e al riparo dal forte vento, mangiamo qualcosa. La giornata è comunque abbastanza mite e si può stare all’aperto senza patire il freddo grazie al riparo offerto dai muri delle baite.

Dopo il meritato pasto, ripartiamo per scendere a valle e vista la neve sufficientemente battuta, scendiamo passando dal bosco. Facciamo una sosta a visitare un antico abitato, rimanenza di un turismo che fu e forse più genuino e basato sulla bellezza dei luoghi.

Ridiscendiamo a valle e dopo la consueta birra, torniamo al pullman.

Sono soddisfatto che tutto sia riuscito abbastanza bene e che le persone sono state contente della gita.

03/02/2008 – Campra – Svizzera  -  Sci di fondo

Questa domenica mi sono recato a Campra in Svizzera in occasione della gita organizzata dal cai per lo sci di fondo. Alla partenza, il tempo era brutto e nella grigia pianura pioveva. Pioveva anche lungo tutto il tragitto, ma poi per fortuna ha smesso dopo aver passato Lugano. Dopo un sosta ristoratrice in autogrill raggiungiamo Campra, una piccola località vicina a Olivone nel Lucomano.

Il posto si presenta subito bene, innanzitutto sulla strada che porta da Olivone a Campra si erge una cima molto interessante e bella da salire il Monte Sosto. Mi sono promesso di cercare informazioni in quanto questa estate potrebbe essere una meta possibile. Arrivati a Campra invece ci ritroviamo in una piana molto bella con boschi di abeti e faggi e la pista corre lungo la piana e dentro i boschi. Le piste di fondo che passano dentro i boschi sono per me un paradiso, ispirano tranquillità e pulizia.

La neve è buona e decido di usare gli sci da alternato per poter percorrere tutta la pista agevolmente. La giornata purtroppo non lasciava scampo al sole e non ho potuto vedere bene le cime circostanti, ma già con le nuvole che coprivano buona parte del panorama, si riusciva a intuire la bellezza del posto. Poi in aggiunta questa località è fuori dai centri abitati e quindi il traffico di gente e macchine è molto limitato.

Finito di sciare ci ritroviamo tutti al centro fondo per mangiare e il bere il caffè che insolitamente l’ho trovato buono per essere in Svizzera. Gli svizzeri con il caffè non ci azzeccano proprio!! Lo fanno come gli americani lungo e acquoso!!

Ritorniamo a casa ritrovando di nuovo la pioggia!!

10 Febbraio 2008 – Col Chaleby – Valle di Saint Barthelemy

Bella e soleggiatissima escursione al Col Chaleby, infatti la giornata super soleggiata e molto calda ha reso la salita in condizioni decisamente estive.
Dopo qualche piccolo problemino con la macchina, rimasta senza benzina, arriviamo a Lignan alle 10.30 e ci incamminiamo lungo la stradina che ci porta sui pendii che attraverseremo. La neve non è tantissima, in quanto la valle è molto esposta al sole che splende dall’alba al tramonto. Un gruppetto parte con gli sci ai piedi, mentre io e Giovanni decidiamo di incamminarci senza ciaspole ai piedi. La neve è dura e si cammina abbastanza bene. Risaliamo i pendii fino al bosco e dopo averlo attraversato ci troviamo al suo limitare dove la neve comincia a essere più spessa fino a raggiungere l’Alpe Tza de Fontaney. Dopo una breve pausa aspettando gli altri del nostro gruppetto, ripartiamo con le ciaspole ai piedi. La neve comincia ad essere più spessa e anche morbida visto il salire delle temperature. La vista è stupendo così come la valle, molto aperta e circondata da belle cimette che sembrano abbastanza abbordabili come salita, anche se rientrano nell’alpinistico e non di certo facilmente accessibili in questa stagione. Dall’Alpe decidiamo di salire al Col du Salve e per poi salire la cima del Monte Morion, che si trova più a est, ma purtroppo arrivati in prossimità del Col Salvè, ci accorgiamo che la parete nord è piuttosto ripida e ghiacciata, improponibile se fatta con le sole ciaspole. Per salire quel pendio a nord erano necessari picozza e ramponi, mentre per salire da sud, con minore pendenza, bisognava tornare fino a quasi l’Alpe Tza de Fontaney. Percui decidiamo di salire fino al Col du Salvè e poi decidevamo dove proseguire.

Il panorama è bellissimo e si vedono bene le cime del Monte Rosa, da una diversa angolazione alla quale sono abituato a vederle. Da qui sembrano più appuntite e difficoltose da salire.

Ci sediamo sulle rocce del colle e mangiamo i panini, mentre nel frattempo vediamo arrivare i nostri amici che si fermano poco più sotto.

Sono indeciso se salire al Col Chaleby oppure restare li a prendere il sole, anche perché Giovanni ha deciso di fermarsi li. Dopo circa un’oretta di pausa e indecisione, decidiamo di avviarci alla discesa quando, guardando verso il Chaleby, mi accorgo che non è poi così distante e sopra ci sono ancora gli altri del nostro gruppetto. Chiedo a Giovanni se gli scoccia fare un tratto di discesa da solo, mentre io vado al Chaleby a fare qualche foto vista la vicinanza e dopo il suo assenso, in poco più di 20 minuti raggiungo la cima. Purtroppo avendo appena mangiato, fare la salita di corsa, mi ha fatto arrivare il cuore fino in gola, ma sono riuscito comunque a salire abbastanza in fretta. Sono soddisfatto della mia forma fisica che mi permette di sostenere dei buoni dislivelli senza arrivare sfinito.

Dalla cima del colle la vista è ancora più bella e c’è anche un piccolo scorcio di pianura piemontese, coperta dalla foschia e dall’inquinamento. Fatte le foto di rito, mi accingo a scendere e dopo aver raggiunto Giovanni all’Alpe scendiamo insieme a Lignan, dove ci ricongiungiamo agli altri anche loro appena arrivati dalla loro divertente discesa con gli sci. Altra giornata bellissima in montagna, ricaricato per affrontare la settimana piatta!!!!!! Intesa come pianura!!!.

17 Febbraio 2008 – Rifugio Bonatti – Val Ferret

Domenica dedicata alla mia sezione CAI con una bella ciaspolata al Rifugio Bonatti. Alla partenza di primissimo mattino, alle 6.00!! il cielo non era molto bello, anzi per quel poco che si poteva vedere, non c’era l’ombra di una stella. Infatti anche lungo l’autostrada nei pressi della Val d’Aosta le nuvole erano basse e l’aria era gelida. Molti del gruppo che accompagnavo erano un po’ preoccupati per la giornata, ma rimanendo fiducioso delle previsioni sapevo che arrivati a destinazione le cose sarebbero cambiate decisamente. Raggiungiamo Courmayeur e la partenza della navetta per la Val Ferret e dopo aver aspettato una ventina di minuti alla fermata del bus con il termometro che ci ricordava che faceva freddo -7!!!! Riusciamo a salire sulla navetta e a raggiungere la Val Ferret.

Dopo il noleggio e la tipica colazione propiziatoria al bar, che non può mancare, ci incamminiamo nella lunga Val Ferret. Il sole comincia a essere più forte e la foschia del mattino a diradarsi, nel frattempo raggiungiamo il piccolo abitato di Lavachey. La neve è ancora ben presente, sui tetti è davvero spessa, ma soprattutto è ben assestata. Procediamo lungo il percorso ben tracciato dai frequenti passaggi e risalendo il pendio che porta al rifugio, il sole diventa più caldo. Alcuni componenti essendo la prima ciaspolata e poco abituati alla salita, fanno più fatica, ma alla fine riescono ad arrivare anche loro al rifugio. Sul piazzale ci sono già altre persone, non siamo gli unici, ma comunque siamo il gruppo più numeroso e ci “impossessiamo” della zona circostante il rifugio.

Dopo aver mangiato ci prepariamo a scendere e raggiunto il piccolo ristoro a Lavachey, ci beviamo una birra.

Sono contento e soddisfatto che anche questa seconda ciaspolata da me organizzata è andata bene, questa volta il gruppo era più numeroso. Ho visto che la gente è rimasta contenta, complice il bel tempo e la valle, molto bella. Spero che anche le prossime saranno così.

02-03-2008 Rifugio Maria Luisa – Passo san Giacomo – Val Formazza (VB)

Ultima uscita con le ciaspole, per questa stagione, da me organizzata con il CAI ABBIATEGRASSO. Siamo andati in Val Formazza per raggiungere il Rifugio Maria Luisa e il Passo San Giacomo. Alla partenza il cielo era stellato e le temperature decisamente alte, il vento da nord e le giornate soleggiate hanno alzato notevolmente la temperatura. Partiamo per Riale e arrivati a destinazione, si notava già sulle cime il forte vento che spostava velocemente le poche nuvole. La temperatura è comunque gradevole, nonostante soffia il vento, che fortunatamente non è forte come da previsioni.

Dopo la colazione al bar, partiamo e percorriamo la larga strada carrozzabile che porta fino al rifugio. La salita non presenta nessun problema, mentre lungo il percorso incontriamo parecchia gente. Sembra di passeggiare in centro città da quanta gente è in giro in queste giornate di sole. Fa piacere visto che ormai la tendenza delle domeniche di molte persone è quella di andare al centro commerciale. Mano a mano che si sale il nostro gruppo si divide, per ovvie ragioni di passo, ma essendo un percorso facile e con condizioni di buona stabilità della neve, non è necessario fare il cane da guardia costantemente. Una persona perde le ciaspe a causa di una rottura del pernino, tipico con i noleggi, ne ho viste di peggio. Questa volta le ho dovute noleggiare in un negozio un po’ fuori mano a causa della scarsa disponibilità a Riale, e per fortuna erano delle belle racchette e tutte in buone condizioni, eccetto una!!!

Arrivati tutti al rifugio, persino chi non voleva salire con le racchette è riuscito ad arrivare, segno che la neve era ben pestata, facciamo una breve pausa. Qui in 7 ci prepariamo per proseguire verso il passo San Giacomo, che richiede un’altra ora abbondante di cammino. Dal rifugio verso il passo, la neve è davvero tanta, nonostante non nevica da ormai un mese, la traccia è ben evidente e ormai diventa un sentiero percorribile senza grossi problemi, eccetto alcuni passaggi in traverso su piccoli pendii ripidi, ma senza grosse difficoltà. Il percorso è lungo e in falso piano, quindi a volte noioso oltre che faticoso e alcune persone decidono di fermarsi. Le capisco perché si raggiunge il passo da dove si ha più o meno la stessa vista. Mentre io e altre tre persone arriviamo al passo, dove poi ci raggiunge anche Maurizio che mi ha aiutato in queste ciaspolate con la gente. Dopo aver mangiato ritorniamo velocemente al rifugio, per una birra veloce e poi per scendere a valle. Il ginocchio destro mi pizzica un pochino, forse perché l’ho sforzato troppo nell’ultimo tratto di salita con movimenti poco corretti. Io e Maurizio decidiamo di tagliare la strada e di scendere lungo i ripidi pendii fino a valle. Qui comincia il divertimento, in quanto riusciamo a “sciare” con le ciaspe e anche con il sedere!!!!! Visto che spesso, soprattutto sui tratti ripidi, non riuscivamo a mantenere l’equilibrio.

Risaliti sul pullman, torniamo verso casa e come di consueto, mangiamo torte e beviamo vino gentilmente offerte dai partecipanti.

15 – 16 Marzo 2008 – Bergamo – Corso Accompagnatore Escursionismo

Questo fine settimana l’ho dedicato alla mia istruzione personale, come aspirante accompagnatore di escursionismo. Sabato mattina, io e Maurizio socio con me al cai del nostro paese, siamo partiti per Bergamo dove si teneva la prima lezione del corso propedeutico per AE. Raggiungiamo il famoso Palamonti, struttura nuova e ben costruita che ospita il CAI di Bergamo, con diverse sale per riunioni e corsi, biblioteca e palestra di roccia da fare invidia al Rock Master!!

Siamo in 42 e tutti aspiranti AE che provengono da tutta la Lombardia, dopo la registrazione, iniziamo subito con le lezioni teoriche, dove le seguo con molto interesse soprattutto la parte riguardante le responsabilità di un AE e le limitazioni dove poi entra in gioco la guida alpina o l’istruttore di Alpinismo. Pranziamo tutti assieme e si fa la conoscenza di altre persone che come me voglio intraprendere questa attività all’interno della propria sezione. Siamo tutti molto entusiasti in quanto è la passione per la montagna che ci porta a voler diventare accompagnatori. Personalmente lo vedo come un modo per avvicinare le persone ad una attività che oltre ad essere sana,  le rimette  a contatto con la natura. L’escursionismo è l’attività in montagna più diffusa, anche gli alpinisti più esperti fanno escursioni, sia per ovvi motivi di avvicinamento alle pareti o ghiacciai, che anche per piacevole e rilassante uscita con gli amici. Personalmente sono nato come escursionista e mi definisco come tale, anche se a volte pratico e cerco uscite più complesse e impegnative. Lo scopo di andare per monti è quello di cercare una vitalità che solo questi ambienti ti possono dare.

Dopo pranzo, un po’ appesantiti ricominciamo le lezioni, che si fanno più interessanti dal punto di vista tecnico e organizzativo.

La sera ci dirigiamo verso l’ostello della gioventù di Bergamo, dove dopo aver preso posto nelle camere ci riuniamo di nuovo per cenare tutti assieme. Dopo cena gli istruttori ci fanno parlare singolarmente per dire la nostra sulle motivazioni che ci hanno spinto a partecipare a questo corso. Io non sono abituato a parlare in pubblico e sono piuttosto emozionato, parlo d’impulso, ma riesco ad esprimere la mia motivazione.

L’indomani mattino ci svegliamo e fuori diluvia, dobbiamo uscire per fare la prova pratica, ma dopo una lunga riunione degli istruttori, si decide di rimandare la prova pratica. D'altronde non è facile già fare una escursione con la pioggia, figuriamoci aggiungere anche una lezione pratica!!

Restiamo all’interno dell’ostello a parlare ancora di sicurezza e approfittiamo della pioggia per approfondire alcuni aspetti organizzativi e di responsabilità, fino a quando ci congediamo dandoci appuntamento alla prossima lezione.

Alcuni di noi vogliono comunque fare l’escursione in programma, ma poi dopo una bella chiacchierata decidiamo per l’abbandono.  Per chiudere la giornata persa per il maltempo, ci fermiamo ad un negozio di sport a curiosare un po’ di materiale e prezzi, sempre più alti.

Sulla strada del ritorno, il tempo diventa più bello fino ad uscire il sole e questo mi ha irritato parecchio, deluso della beffa che mi ha fatto il meteo, sono andato a correre nelle campagne dietro casa.

22-03-08 Arnad – Colle Fenetre e villaggi rurali di un tempo.

Finalmente le ferie di pasqua!!! Occasione per andare in montagna e recuperare le domeniche perse a causa del tempo brutto. Anche per questo fine settimana, le previsioni non sono incoraggianti, ma comunque danno variabilità, quindi non si sa mai cosa farà esattamente il meteo. Quindi le mete sono facili senza andare troppo in alto per non rischiare di imbattersi in nevcate o piogge improvvise o di finire in mezzo alle nuvole con visibilità uguale a zero.

Con Marco, Fede Biella, Ely e la piccola cagnetta Grey siamo andati al Colle Fenetre sopra Arnad. Parto al mattino presto da casa e arrivo a Pont Saint Martin dove mi aspettano Febe e Marco e ci dirigiamo al Bed & Breakfast di Elisa, tra l’altro molto bello e accogliente (www.lakia.it), ad Arnad.

Partiamo con la macchina e ci dirigiamo a Fey Dessous, un piccolo borgo antico in un valloncello ormai dimenticato a cavallo tra la valle centrale nella zona di Arnad e la Valle di Gressoney. Il vallone in questione è quello che porta verso il Monte Crabun. Partiamo di buon passo, siamo tutti abbastanza carichi e allegri, anche la piccola Grey e dopo una salita di 1 ora circa arriviamo al Colle Fenetre. La giornata è bella e splende il sole, ma in giro si vedono le nuvole che piano piano si addensano, segno evidente dell’instabilità. Dopo le foto di rito al colle decidiamo di proseguire per arrivare in cima alla Croix Courma, scendiamo per un tratto, ma poi la neve ha coperto i passaggi del sentiero che spesso sparisce nei cumuli di neve riportati dal vento. La neve è molto dura e ghiacciata e nessuno di noi è sufficientemente attrezzato per salite su neve e ghiaccio. Fede non ricorda bene dove passa il sentiero e quindi avventurarsi senza adeguata attrezzatura si corrono solo rischi, soprattutto per la discesa che è sempre più difficile. I pendii sono piuttosto ripidi e senza attrezzatura una scivolata può essere molto pericolosa. Presto i miei ramponcini a Elisa, ma le scarpette hanno la suola grossa e non si agganciano bene, quindi decidiamo di scendere.

Ma ovviamente non ci si arrende mai, e da buoni escursionisti che siamo, abbiamo ripiegato più in basso e prediligendo i pendii a sud per riscoprire un po’ di antichi villaggi rurali di un tempo che fu. Siamo quindi scesi verso i piccoli abitati ormai in stato di semi abbandono. I sentieri qui non esistono e spesso finiscono in niente nella boscaglia fitta. Spesso ci tocca passare tra i rami, i quali almeno una volta a testa ce li siamo beccati negli occhi!!!! Visitiamo prima l'Alpe Fenetre, poi decidiamo di proseguire verso nord est per andare a vedere altri piccoli villaggi isolati e scendere nei pressi del Vallone del Monte Crabun. Qui inizialmente seguiamo la vaga traccia di un vecchissimo sentiero, dove deduciamo da alcune piante tagliate, che comunque qualche pastore lo utilizzi ancora. Raggiungiamo prima un vecchio rudere, probabilmente per tenere le capre, poi avvistiamo una casotta su uno sperone roccioso che sembra anche piuttosto panoramico e quindi seguendo gli antichi terrazzamenti e passando per la fitta vegetazione lo raggiungiamo. Il punto è davvero panoramico sul piccolo valloncello, sotto di noi i piccoli nuclei di case sopra Fey Dessous, di fronte le Prealpi Biellesi con vista sul Mars e il Mombarone. E' bello e sopratutto interessante scoprire i fianchi delle montagne come venivano intelligentemente sfruttati per dare sostentamento a tutta la comunità e non solo. Dava proprio l'idea che un tempo questi luoghi erano popolati e sicuramente pieni di vita. Una vita diversa, fatta di lavoro duro, ma anche più genuina e di valori ormai scomparsi.

Ci sistemiamo per mangiare sullo sperone roccioso e mentre mi cambio la maglia, scopro sotto una roccia un residuo bellico. Un mortaio ancora intatto; era tutto arruginito, ma si vedeva che era stato abbandonato li probabilmente per la fretta. Probabilmente se avessimo cercato tra la vegetazione, avremmo trovato altre cose.

Finito di mangiare, scendiamo a valle ancora passando tra i boschi di faggi. Riprendiamo la strada e purtroppo la giornata finisce. Ritorniamo ad Arnad dove ci beviamo una birra gentilmente offerta da Elisa e dopo i saluti ritorniamo a casa.

Un Grazie a Marco, Fede, Elisa e la piccola Grey per la simpatia e la compagnia.

24-03-08 Oropa – Monte Camino.

Il giorno di Pasquetta che di solito annuncia l’inizio della bella stagione, doveva essere inaugurato con una bella ferrata, ma purtroppo (ma anche per fortuna) una bella e copiosa nevicata mi ha fatto cambiare i piani. Sono contento per la nevicata, perché comunque nevica sempre di meno, ma deluso perché mi ero preparato ormai psicologicamente alla giornata dedicata alla roccia. Purtroppo Gianfranco che doveva venire con me a fare la ferrata, mi dice che non se la sentiva di camminare troppo e quindi restava a casa con la famiglia. Allora mi accordo con il mio amico Marco di Biella per andare a fare un giretto dalle sue parti.

Alle 8.00 sono già a Biella sotto casa sua e ci dirigiamo a Oropa, dove c’è il famoso santuario. Lasciamo la macchina appena sopra il santuario per evitare di pagare il parcheggio e soprattutto la folla di turisti e zaino in spalla partiamo lungo il sentiero. I nostri zaini sono ben carichi, perché abbiamo visto che in prossimità della cima c’era neve, quindi avevamo con noi ciaspole, ramponi e le solite cose che si mettono nello zaino. Saliamo lungo il sentiero, è la prima volta che metto piede sulle prealpi Biellesi e mi sono subito piaciute. Le montagne da queste parti partono subito alte oltre i 2000 metri diventando un balcone panoramico su tutto l’arco alpino e sulla pianura.

Non mi sento molto in forma, probabilmente l’escursione di sabato, il dormire poco e la Pasqua mi hanno un po’ sfiancato. Mi abituo a fatica allo sforzo e raggiunto il primo rifugio, dove arriva anche la funivia, mi fermo a prendere qualcosa da bere con un buon contenuto di zucchero. La bevanda dopo pochi minuti fa il suo effetto e mi sento molto meglio. Lungo la salita mi fermo spesso ad ammirare la pianura, è la prima volta che la vedo ben nitida dall’alto di una montagna. Poi rispetto alle altre prealpi, queste montagne non hanno nessuna collinetta o montagnetta di fronte. Sono proprio a picco sulla pianura.

Ritorno a salire e guardo anche le persone che con la funivia raggiungono la mia stessa meta. Mi chiedo che soddisfazione possono avere ad arrivare in cima in questo modo. E’ vero anche che bisogna accontentare i comodi, ma anche persone che non hanno la possibilità di godere di questo spettacolo.

Raggiungiamo prima il Rifugio Renata e poi la cima. La vista è davvero bellissima, in primo piano il Monte Rosa e poi a seguire verso ovest le cime delle Dame di Challand con il classico aspetto di come le vedo da casa nelle giornate limpide, il Monte Nery. Mentre più a Ovest si vede l'inconfondibile sagoma del Monviso. Ma la cosa che stavolta mi colpisce è la nitidezza con cui si vede la pianura padana. E' incredibile come in un colpo d'occhio riesco a vedere le grandi citta fino agli appennini. Mi accorgo che siamo davvero piccoli in questo mondo e che la natura è davvero immensa.

Il vento è forte e fa freddo, quindi decidiamo di scendere dalla cima e raggiungere il rifugio per bere qualcosa prima di tornare a valle. Il locale è pieno di turisti e ci tocca bere la birra fuori; per fortuna il sole scalda abbastanza e riparati dal vento si sta discretamente bene anche fuori.

Dopo una meritata pausa rilassante scendiamo a valle e ritorniamo alle nostre case, pronti per affrontare un'altra settimana di lavoro.

30 Marzo 2008 – Ferrata Staich e Monte Tovo – Oropa - Biella

Questa domenica, visto il meteo non troppo bello, decidiamo di andare in falesia ad arrampicare, ma purtroppo essendo in numero dispari, decidiamo per fare una ferrata, così si aggregava anche Giovanni. Ci troviamo alle 8.00 e insieme a Gianfranco, Giovanni e Fabio e partiamo per Biella. Arriviamo in un ora circa a Oropa e ci fermiamo al bar a fare colazione, intanto parliamo della meta. Nella zona ci sono diverse ferrate molto belle e impegnative, ma c’è ancora neve e soprattutto ghiaccio e quindi l’unica percorribile, senza attrezzatura da ghiaccio è la Staich sulla cresta sud del Monte Tovo.

Parcheggiata la macchina in prossimità del sentiero, partiamo verso l’attacco della ferrata. Il meteo, come da previsioni, era pessimo. Nuvole basse e umido, comunque la temperatura era gradevole e anche se non potevamo ammirare il bel panorama. La montagna se piace è bella anche con le nuvole. Raggiungiamo in breve la ripida petraia che porta all’attacco della ferrata e manifesto subito la mia fobia per le vipere e i serpenti in generale, che a quelle altitudini e tipo di ambiente, proliferano come formiche!! Fortunatamente siamo in quattro che facciamo rumore e inoltre non è ancora la stagione che vengono fuori. Raggiungiamo con il fiatone l’attacco della ferrata, la colazione non è ancora stata assorbita completamente.

La ferrata inizia subito verticale e in alcuni punti strapiombante e questa sarà una costante. Risaliamo i primi gradini e piccoli traversi. Inizialmente sono impedito, sia perché uso molto il cavo e sia perché sono passati diversi mesi dall’ultima ferrata. Raggiunto il primo pilone della vecchia funivia, comincio a sentirmi più a mio agio, ma pecco ancora molto di tecnica. Devo trovare la giusta confidenza tra lo scarpone e la roccia in arrampicata. Passiamo il primo ponte tibetano, che inizialmente mi ha un po’ impressionato per il modo in cui si passa, ma che poi una volta su era molto divertente e forse è anche il punto meno pericoloso. Una caduta si rimane solo appesi come dei salami, senza pelarsi!!

Dopo le foto di rito sul ponte tibetano, ricominciamo a salire tra pareti verticali e traversi strapiombanti. Vista dal basso o dall’alto, la ferrata sembra beve e facile, ma non è come sembra. Ma comunque è molto divertente. Arrivati al secondo ponte tibetano, mi sono posizionato sul versante sbagliato, e ho dovuto fare alcune manovre “ridicole” per girarmi, mi sono decisamente incasinato con le fettuccie del kit. Quindi per districarmi, mi sono appeso con il rinvio e le ho risistemate a regola d’arte. Arriviamo in prossimità del secondo pilone della vecchia funivia e dopo pochi altri scalini, e un traverso su uno spigolo un po’ difficoltoso, arriviamo alla fine della ferrata. Soddisfatti e contenti la stretta di mano è d’obbligo. Il tempo è sempre nuvoloso e siamo in mezzo alle nuvole, ma decidiamo di salire in cima al Monte Tovo. Forse ingannati dalla nebbia o contenti della ferrata che la faceva vicina, camminiamo sulla larga cresta sud del Tovo per un’ora e mezza e finalmente sbuchiamo in cima, dove c’è ancora un po’ di neve. Facciamo la pausa e scendiamo verso il colle Finestra e da li seguendo le tracce del sentiero, ridiscendiamo a valle. Casualmente e per la fortuna di chi l’ha perso, abbiamo trovato un telefonino, che da buoni frequentatori di montagne di una certa etica, ci siamo adoperati per metterci in contatto con il proprietario e restituirlo. Felici anche della buona azione siamo tornati super soddisfatti a casa.

05 – 06/04/2008 – Pasturo – Corso AE con CAI LOMBARDIA

Seconda sessione del corso propedeutico per Accompagnatore di Escursionismo. Sono adato con Maurizio e Anna a Pasturo, dove arriviamo praticamente con l’acqua alla gola perché eravamo già in ritardo. Nemmeno il tempo di berci un caffè!!

Il primo giorno è forse il più pesante perché ci sono le lezioni teoriche, ma comunque molto interessanti. Le materie trattate sono state: Topografia, Meteorologia, Flora e Fauna alpina, nodi e manovre di corda. Per fortuna che per quanto riguarda i nodi e le manovre abbiamo fatto alcune prove pratiche nel cortile fuori la casa alpina che ci ospitava.

Al termine della lunga giornata di corso ero alla ricerca disperata di qualcosa da mangiare per il giorno successivo. Pensavo di riuscire ad uscire e comprarmi qualcosa in negozio, ma abbiamo finito di fare lezione praticamente alle otto di sera. Avevo il cervello fumante, ma a differenza di quando andavo a scuola, era fumante di nozioni molto interessanti.

La sera ci riuniamo tutti per mangiare e si comincia a chiacchierare di varie cose, ovviamente il tema principale rimane la montagna. Noto con piacere che la maggior parte delle persone che partecipano a questo corso, sono tutti più o meno malati di montagna come me!!!

La stanchezza mentale si sente di più dopo cena e quindi decido di andare a dormire piuttosto presto, sapendo poi che di solito non dormo più di tanto quando sono fuori di casa. Furtuna vuole che riesco a dormire abbastanza bene.

Al mattino mi sveglio un po’ assonato, avrei voluto restare a letto, visto anche la giornata poco incoraggiante fuori. E’ un periodo che il meteo si diverte a rovinare i fine settimana di noi poveri camminatori di montagna.

Dopo colazione ci prepariamo per la prova pratica e ci dividiamo in gruppi per l’uscita. Maurizio è stato assegnato ad un altro gruppo, mentre Anna rimane nel mio. L’escursione in programma è molto facile, ma per fare lezione a turno dovremo sia condurre la gita e sia essere in coda al gruppo.

Inizialmente mi offro come ultimo della fila e percorriamo le vie di Pasturo alla volta dell’attacco del sentiero. Veniamo spesso fermati dagli istruttori per qualche spiegazione, oppure fanno apposta a fare i gitanti disobbedienti per mettere alla prova le nostre capacità di conduzione. Il mio ruolo da ultimo è piuttosto semplice in quanto devo controllare che nessuno rimanga indietro e controllo chi mi sta davanti. Ciò non toglie che devo stare attento al percorso nel caso che il capogita sbaglia percorso.

Dopo circa tre quarti d’ora, è il momento del cambio e divento un gitante. Poco dopo arrivamo in una zona di alpeggi molto bella con una bella vista sul Pizzo della Pieve. La zona è interessante e piuttosto bella e sicuramente ci sarà occasione di tornare con più calma e con il tempo più favorevole.

Raggiungiamo il Rifugio Riva e facciamo una piccola sosta,ma poco dopo, ripartiamo verso la piccola chiesetta di San Calimero, la meta di arrivo del nostro percorso. Dopo qualche decina di minuti è di nuovo il mio turno e questa volta, devo condurre io la gita. Qui inizia anche il bello dell’escursione, nel senso che il sentiero si fa più ripido e mi tocca adeguare il passo, io di solito ho il vizio di correre. Spesso gli istruttori fanno apposta a rallentare per vedere se mi accorgo degli altri dietro. La prima difficoltà che mi si pone è quella della persona che troviamo per caso e che si sente male. In questo caso la prima cosa che ho fatto, dopo aver sentito i sintomi, ho allertato il 118 (ovviamente per finta) e dopo qualche dubbio e qualche piccola domanda a trabocchetto fatta dagli istruttori, riesco a procedere nella maniera più opportuna.

Ripartiamo e incrociamo delle persone che scendono e ci avvisano della presenza di ghiaccio sotto le foglie. Anche qui, cerco di fare attenzione e soprattutto di avvisare il gruppo del pericolo, segnalando i tratti ghiacciati. Raggiungiamo poi l’ultimo tratto di sentiero che ora diventa oltre che ghiacciato innevato, con alcuni punti realmente pericolosi. Anche qui avviso il gruppo e do alcuni consigli su come procedere al meglio. Superato questa ulteriore “difficoltà” finisce il mio turno da capo gita e con i complimenti degli istruttori, torno a fare il gitante. La cosa mi ha dato grande soddisfazione, anche se di cose da imparare ne ho ancora parecchie. Come si dice “Tempo al tempo”. Arriviamo infine a San Calimero e ci fermiamo a mangiare.

Dopo una mezzoretta di pausa ripartiamo ed è giunto il momento di orientarsi per trovare il sentiero giusto e soprattutto quello più comodo. Dopo alcune consultazioni con la carta imbocchiamo il sentiero giusto, ma arrivati ad una zona di alpeggi ci troviamo di fronte ad un bivio che in se stesso è insignificante, ma che successivamente scopriamo ci avrebbe portato più rapidamente a valle. In ogni caso dopo aver guardato diverse mappe, che ci hanno un po’ confuso, siamo scesi per il sentiero principale, allungando il percorso.

Ritornati a Pasturo e dopo i saluti con tutti, Io,Maurizio e Anna ci fermiamo al bar-ristornate a bere una birra prima di partire. Nel locale scambio quattro chiacchere interessanti e piacevoli con il cuoco del ristorante e si ritorna a casa, pronti per un’altra settimana di lavoro.

13 aprile 2008 – Lecco – Sentiero dei Pizzetti – Corso AE

Ultima giornata di lezione per il corso propedeutico di Accompagnatore di Escursionismo. Oggi sono stato a Lecco e abbiamo percorso il sentiero attrezzato dei pizzetti. Partenza alle 6:15 da Abbiategrasso, Maurizio è passato a prendermi a casa e con le prime luci del giorno partiamo alla volta di Lecco. Il meteo non prometteva bene per la giornata, ma dirigendoci verso Lecco sembrava che per la giornata ci avrebbe graziato almeno dalla pioggia. Dopo circa 50 minuti di viaggio arriviamo a Lecco e troviamo subito il punto di incontro. Per fortuna partendo con largo anticipo abbiamo il tempo di fare colazione con calma al bar. Già diverse persone sono arrivate e dopo la colazioncina ci riuniamo e ci prepariamo per la giornata di lezione.

Il gruppo con cui faccio lezione è lo stesso, sono cambiati solo gli istruttori, ci dirigiamo all’attacco del sentiero e superando un cancello entriamo nella boscaglia dove si trova il sentiero 52 per l’alta via delle Grigne. Il sentierino è piuttosto ripido e umido, probabilmente ha piovuto fino a sera inoltrata. Con ancora la colazione nello stomaco e un po’ di sonno arriviamo all’attacco del sentiero attrezzato vero e proprio. Il gruppo è compatto e ormai ci conosciamo tutti. A differenza della scorsa volta il sentiero è obbligato e quindi sono sorti molti meno problemi di orientamento, percui a livello “mentale” si è più rilassati. Il sentiero invece è piuttosto facile dal punto di vista tecnico anche se la roccia a volte umida rende qualche passaggio scivoloso, in ogni caso nessuno di noi ha sentito la necessità di usare l’imbrago, anche perché l’esposizione non era eccessiva. Raggiungiamo la cima del primo pizzetto e la vista su Lecco e il lago è molto bella, peccato che la giornata non era bellissima e come capita spesso nei paesi vicino al lago lo intristisce un pochino. Dopo qualche foto, riprendiamo il cammino e lungo il sentiero si parla sempre di sicurezza e comportamenti corretti da tenere lungo questi percorsi. Molte cose si danno per scontate, ma molto spesso vengono anche trascurate proprio perché considerate ovvie.

Dopo aver percorso il sentiero arriviamo al Rifugio Piazza dove facciamo una breve pausa. Siamo i primi ad arrivare al rifugio, quindi ci prendiamo qualche minuto in più di relax. Quando ci raggiungono gli altri scendiamo verso le piante sottostanti il rifugio per proseguire la lezione relativa alle manovre di corda. La lezione è molto interessante, tra l’altro ci sono alcune manovre e piccoli trucchi interessanti che risolvono l’eventuale mancanza di attrezzatura. Per esempio come realizzare un “moschettone” usando un cordino, oppure realizzare un barcaiolo su un anello chiuso. Inoltre anche la realizzazione di un imbrago d’emergenza usando la corda di cordata e tante altre cose che non si trovano nemmeno nei manuali, ma che possono essere molto utili.

Anche la stesura di una corda fissa, mi ha chiarito molti dubbi che avevo sugli ancoraggi naturali.

Finita la lezione mangiamo e ci accingiamo a scendere. Percorriamo lo stesso sentiero ma arrivati ad un bivio decidiamo insieme ad un altro gruppo di scendere per un canale roccioso attrezzato. La discesa di questo tratto è molto ripida e più scivolosa in quanto è perennemente in ombra, ma viene rallegrata dalle barzellette che ci raccontiamo!!

Arrivati alle macchine il presidente della commissione, fa il suo discorso conclusivo del corso e ci congeda tutti. Al momento dei saluti viene proposta una piccolo sosta al bar per un brindisi finale.

Un ringraziamento a tutti gli istruttori della commissione Lombarda per la pazienza, la disponibilità e la simpatia ed un saluto a tutti i corsisti conosciuti, con la speranza di ritrovarci il prossimo anno per il corso vero e proprio.

20 Aprile 2008 – Tentativo di salita al Monte Zerbion da Ovest

Giornata no per la montagna. Già dalla mattina le cose non sono andate per il verso giusto: mi sono dimenticato il mangiare e l’acqua a casa. Ovviamente certe cose, ad una persona che ormai frequenta più che abitualmente la montagna, non dovrebbero sfuggire. Invece questa mattina ho lasciato a casa il cibo! Mi trovo con Gianfranco e Diego puntuale alle 6.15 di mattina, pronti per partire verso Valtournenche. Le previsioni davano precipitazioni abbondanti dal pomeriggio, e comunque era nuvoloso fin dal primo mattino. Partiamo con l’idea di salire il Monte Zerbion dal versante ovest, anche se sapevamo che la salita poteva fallire a causa del maltempo. Tra l’altro questa cima da me straconosciuta, non l’ho mai salita da questo versante percui c’erano alcune incognite, tra le quali la difficoltà a salire con la neve e il fatto che buona parte della montagna era spesso coperta dalle nuvole.

Dopo la consueta colazione, raggiungiamo il piccolo abitato di Promiod ed imbocchiamo il sentiero sgombero da neve per lo Zerbion. Purtroppo le nuvole coprivano le montagne ed era diffcile capire se la neve era abbondante. Gianfranco e Diego erano senza ciaspole, ma basandomi sul fatto che molto spesso questo versante lo vedevo con poca neve non ho insistito a convincerli a noleggiare le racchette da neve. La sfortuna ha voluto che la neve è scesa abbondante nei giorni scorsi. Anche se guardando i bollettini quotidianamente i giorni prima non riportavano grandi precipitazioni. Questo è stato il secondo errore e rammarico della giornata iniziata male. Tra l’altro mentre salivo verso Anthey guardavo se c’erano dei noleggi aperti, ma davano l’impressione di essere tutti chiusi. L’alternativa era di salire fino a Cervinia per noleggiarle.

Mi fermo spesso a guardare il gioco delle nuvole sulla valle e sulle cime dei versanti opposti. E’ bello vedere le rare occhiate di sole che illuminano una parte della montagna innevata coperta dalle nuvole, sembra di vedere un luogo fiabesco che emerge dalle tenebre per scacciarle definitivamente. Ma purtroppo oggi le tenebre non se ne vogliono proprio andare e le nuvole diventano sempre più nere. Comunque anche così la montagna mi affascina …. sono proprio malato!!!

Continuiamo a salire e dopo aver raggiunto degli alpeggi iniziamo a trovare neve. Il versante opposto che porta diretto al Col Portola è piuttosto sgombero e ci avrebbe facilitato la salita almeno fino a sotto al colle, ma poi per la cima dello Zerbion sarebbe stato piuttosto difficile e pericoloso, percui già in partenza da valle l’ho escluso. A fatica e sprofondando nella neve fino quasi alle anche, arriviamo ad un alpeggio dove confrontando la mappa era possibile scegliere due vie di salita. La prima era quella che portava al Col Portola, risalendo un pendio piuttosto dolce. L’altra era quella di risalire la cresta sud-ovest del Monte Zerbion per arrivare in vetta. Vedendo i miei compagni che facevano fatica a salire senza le racchette da neve, ho preferito rinunciare la cima e puntare solo al Colle Portola seguendo il pendio più dolce, per alleggerire la fatica dei miei compagni senza ciaspole, sperando nella neve più bassa. Invece proseguendo anche lungo questo tratto, la neve è ancora tanta e si sprofonda ad ogni passo. Perdiamo la traccia del sentiero tra la neve ed il bosco e decido di mettere le ciaspole per proseguire e cercare di fare strada ai miei compagni. Purtoppo le pendenze e gli accumuli di neve non gli permettono di proseguire, quindi riguardando la mappa decidiamo di tornare al bivio e di intraprendere la vaga traccia della strada carrozzabile dove la neve è priva di buchi nascosti ma anche qui ogni tanto si sprofonda in quanto usciamo dalla traccia della strada. Raggiungiamo finalmente il versante esposto completamente a sud-est dove la neve è un ricordo lontano e facciamo una pausa ristoratrice, mangiucchiando quello che mi offrivano i miei compagni. Durante la pausa, c’è stata una breve schiarita che mi ha permesso di identificare bene il Col Portola e il Monte Zerbion. Valutato che anche il Portola non è facilmente raggiungibile senza racchette, decidiamo di scendere. Durante la discesa e grazie a delle schiarite più durature, riusciamo a vedere bene dove eravamo arrivati e il bivio del dilemma. Eravamo proprio sotto l’inizio della cresta ovest dello Zerbion, bastava andare diretti a destra, anziché andare a sinistra verso il colle e risalire di una cinquantina di metri il bosco per raggiungerla. In ogni caso sarebbe stato impossibile a causa della neve. Guardando verso la cresta ho visto due persone impegnate nella salita, anche se sembrava che facessero molta fatica a causa delle nuvole e del vento che si stava alzando. Scendiamo a valle e ci fermiamo ad Arnad per assistere la conclusione di una manifestazione di arrampicata sportiva e per bere qualcosa assieme. Un ringraziamento a Gianfranco e a Diego per l’ottima compagnia, sarà per la prossima volta e con le ciaspole. Da parte mia ho imparato che è sempre meglio insistere e non sottovalutare mai niente, anche le cose più banali.

P.S. Lungo la cresta che avremmo dovuto salire, c’erano due persone che poi ho scoperto erano due miei amici!!!

25 Aprile 2008 – Menton – Cima del Grammondo stessa foto ma con PaoloFoto al Col du St Bernard con mio padre

Oggi mi sono trasferito al mare!! Ogni tanto ci vuole cambiare aria e vedere anche un’altra bellezza naturale, diversa dalla montagna, oltre alla fauna tipica delle località di mare: Le Donne!!!

In ogni caso avendo tre giorni a disposizione e avendo alle spalle delle belle montagne quali le Alpi Marittime, ho voluto dedicare una giornata solare ad una bella e super panoramica escursione su questo angolo di Montagne a “strapiombo” sul mare.

Sono a Menton, il primo paese della Francia in Costa Azzurra, e alle 8.30 mi trovo con Paolo e mio Padre fuori dal residence dei nostri amici e decidiamo di fare un giro perlustrativo verso il Grammondo. Decidiamo di non fare la cima, ma di fare un giro perlustrativo, percui prendiamo la macchina e andiamo a Castellar un piccolo paesino costruito sulla cima di una collinetta sopra Menton. Lasciata l’auto ci incamminiamo lungo il sentiero, che poi è una carrareccia con fondo in cemento. Con Paolo si parla di molte cose e il tempo comunque passa piacevolmente, la giornata è bella e la temperatura ideale per camminare. Il sole splende, nonostante qualche piccola velatura, e dopo un paio di ore ce ne accorgiamo già sulla nostra pelle. Raggiungiamo prima il Col du St Bernard, dove ci fermiamo per una sosta fotografica e per ammirare il panorama che già da questo punto è molto bello. La vegetazione è bella e si trovano spesso delle chiazze di prato verde che assomiglia molto a quello inglese. Ci sono diversi antichi terrazzamenti in parte ancora utilizzati per qualche pianta da frutto mentre molti sono occupati dai pascoli delle pecore, che da queste parti sembra essere l’allevamento principale. Il morale è alto, innanzitutto perché è il primo giorno che siamo in questo splendido posto e poi perché sembra che l’escursione piaccia anche a mio Padre e a Paolo. Decidiamo di continuare il nostro giro esplorativo e cercando il sentiero più comodo e veloce ci incamminiamo verso il colle di Colla Bassa. Passiamo prima per un sentiero stretto e spesso coperto da vegetazione, che io non amo molto per il terrore di incontrare qualche serpentello, poi ritorniamo sulla carrareccia che in breve ci porta alla Colla Bassa. Mio padre comincia ad accusare una lieve stanchezza, ma soprattutto dolore ai piedi, in ogni caso sono contento per lui, in quanto è arrivato fin li senza essere per niente allenato. Gli ho consigliato di allenarsi un pochino, così questa estate lo porto a fare un giro sul ghiacciaio sperando di fargli sfiorare i 4000. Sarebbe bello salire il Castore assieme.

Dalla colla bassa raggiungiamo la fine della carrozzabile dove inizia il sentiero che porta in cima. Mio padre preferisce ridiscendere alla Colla Bassa per riposare i piedi e mangiare qualcosa. Io e Paolo decidiamo di continuare e salire in cima. Non manca molto, ma non conoscendo il percorso non sapevo se per mio padre fosse poco complicato salire.

Dopo qualche decina di minuti arriviamo in vetta. La vista è davvero bella e si vede tutta la costa, dalla parte opposta le montagne del cuneese. Lungo la cima ci sono i cippi che indicano il confine tra Italia e Francia, mentre sulla cima è eretta una croce. Sono contento perché sono salito su una cima che da sul mare: due monti così contrapposti ma così infinitamente belli. Dove siamo noi la natura la pace e la soddisfazione di vivere la salita in simbiosi con l’ambiente, in basso sulla costa, la vita delle persone in vacanza che si godono la spiaggia e i primi caldi. Noi siamo nella pace, loro nel caos. Ma c’è chi trova pace anche nel caos.

Dopo qualche foto e aver fatto il pieno di panorama ritorniamo giù da mio Padre e mangiamo.

Scendendo a valle percorriamo un altro sentiero, ma risulta poco comodo e più lungo. Tornati a Castellar troviamo un simpatico gruppo di Novara con cui scambiamo quattro chiacchere sui posti e sulle escursioni della zona.

E così finisce un’altra giornata di montagna, contento per averla passata con mio padre. I giorni a seguire li passo al mare a fare il vacanziero e ad ammirare la fauna tipica delle spiagge!!!

02 Maggio 2008 – Champorcher - Rifugio Dondena.

Primo dei tre giorni che mi aspettano di montagna a 360°. Alle 6.50 parto da casa e alle 7.30 sono a Carisio per prendere Marco che arriva da Biella. Partiamo per la volta della Valle d’Aosta e dopo una bella colazione all’autogrill arriviamo a Petit Mont Blanc, piccola frazioncina di Champorcher. Ci prepariamo e ci carichiamo sulle spalle i pesanti zaini con tutta l’attrezzatura che ci serve per la salita del giorno dopo. Ci incamminiamo lungo la comoda carrozzabile che ci porta al rifugio Dondena. Per fortuna che siamo su una carrozzabile, in quanto gli zaini sono davvero pesanti e non vediamo l’ora di arrivare al rifugio per dimezzare il peso.

Dopo circa un ora e mezza di cammino arriviamo finalmente al rifugio. Normalmente questo percorso lo si fa in circa 1 ora, ma con il peso degli zaini e le ripetute soste ci abbiamo messo un po’ di più. Poi non avevamo particolare fretta, percui ce la siamo presa molto comoda. La valle è deserta e non incontriamo nessuno lungo il tragitto, a parte due persone del luogo con la macchina. Arrivati al rifugio, prendiamo subito posto nel locale invernale, ma ci accorgiamo che non serviva tanta fretta per occupare i letti, visto che eravamo gli unici in tutto il rifugio. In ogni caso per evitare che ci venga soffiato il posto, stendiamo i nostri sacchi a pelo e lasciamo parte dell’attrezzatura che non ci serve e usciamo a fare un giro di perlustrazione.

Ciaspole ai piedi ci incamminiamo verso sud-ovest, per esplorare le condizioni della salita per la rosa dei Banchi. Mentre camminiamo, ci accorgiamo subito che la neve è pessima e salire alla rosa dei banchi, a meno che non partiamo nel cuore della notte, è piuttosto rischiosa. Raggiungiamo un pianoro sotto le cime Dondena e Rascias dove ci fermiamo a mangiare e a fare qualche foto.

La neve tutta intorno è già acquosa ed è lucidissima alla luce del sole, segno evidente che si sta sgelando tutto. Dopo una bella pausa ci accingiamo a tornare seguendo una variante al nostro percorso, per cercare pendenze più dolci e sicure. Mentre scendiamo sentiamo la neve sotto i nostri piedi cedere e alcune volte addirittura sentiamo dei rumori poco piacevoli tutto intorno. Sento spesso la neve fare un rumore simile a qualcosa che sfrega o frigge. Per fortuna che i pendii non sono ripidi e riusciamo a raggiungere il rifugio senza problemi. Passiamo il resto del pomeriggio a chiacchierare e a brustolirci al sole, mentre ogni tanto guardiamo verso valle per vedere se arriva qualcuno, come noi intenzionato a fare qualche salita. Purtroppo non arriva nessuno, vediamo ogni tanto arrivare qualcuno, ma si fermano tutti al limitare della neve. Segno evidente che gli ultimi bollettini valanghe non davano buone notizie e che nessuno avrebbe fatto salite il giorno successivo. Decidiamo quindi di abbandonare l’idea di salire alla Rosa dei Banchi e di fare una cima più vicina e con pendenze meno accentuate. La cima che saliremo è la Rascias a 2.780 metri.

Ceniamo con i nostri panini e le scatolette e dopo un ora ce ne andiamo a dormire. La mattina ci raggiungerà Federico per fare con noi la salita.

03 Maggio 2008 – Cima Rascias e Rifugio Miserin

Sveglia ore 6.30, non ho dormito molto ma ormai sono abituato. Ogni volta che cambio letto faccio fatica a prendere sonno, ma per fortuna ho imparato a rilassarmi completamente e anche se le ore di sonno sono poche, riesco ad essere sufficientemente riposato per affrontare la fatica il giorno seguente. Mentre ritiriamo le nostre cose e rimettiamo a posto i nostri zaini, ci raggiunge Federico che arriva fresco da Arnad. Facciamo velocemente colazione e lasciata l’attrezzatura che non serve al rifugio, ci incamminiamo verso il Monte Rascias. Federico e ben riposato, anche Marco, ma io accuso un po’ di stanchezza nelle gambe e nel fiato. Probabilmente la notte non ho riposato bene. Saliamo sulla neve ancora dura dalla notte, ma il sole è già alto e scalda. Arrivati sotto il colletto tra la cima Dondena e il Monte Rascias cominciamo a salire a zig zag e distanziati, in quanto il pendio è leggermente ripido. Arrivo per primo in cima al colle e subito dopo gli altri miei compagni. Marco e Federico, vogliono andare a mettere piede sulla cima Dondena, poco più in basso. Io decido di aspettarli in quanto non mi sento di affaticarmi ulteriormente. Faccio fuori quasi un litro di acqua e mi mangio una pastiglietta di sali minerali, per reintegrare un po’ di energie. Probabilmente il troppo sole del giorno prima, mi ha disidratato un pochino, difatti dopo pochi minuti avverto meno la pesantezza alle gambe e mi sento più in forma. Marco e Fede intanto ritornano dalla breve cimetta del Dondena e poco dopo ripartiamo alla volta della cima del Monte Rascias. La salita è diretta, in quanto il pendio non è molto ripido, ma faticosa. La cima è un grosso panettone, che mentre si sale sembra non finire mai. Raggiungiamo la stessa quota dell’anticima posta più a nord, che vista dal basso sembra essere la vera cima e dopo circa 15 minuti raggiungiamo il punto culminante del monte. La cima è molto ampia tanto che sembra un piccolo pianoro a se, con una vista davvero panoramica su tutto il vallone dei Banchi e sulla conca del Miserin. Sembra di essere su di un terrazzo: si vedono le cime della Tersiva, il Dela, il Glacier e la Rosa dei Banchi la nostra meta originaria. Oltre le cime i colli Fenis, Fenetre de Champorcher, Balma e il col della Rosa dei Banchi. Ci accorgiamo anche che la neve è davvero tanta e che il troppo caldo la rende anche molto instabile e “papposa”. Inoltre le precedenti perturbazioni arrivavano proprio da sud-ovest creando notevoli accumuli sui versanti a nord, proprio quelli che dovevamo salire noi per raggiungere la cima della Rosa dei Banchi. Dopo la pausa fotografica e l’identificazione delle cime con la carta ci accingiamo scendere dalla parte opposta per raggiungere il rifugio Miserin. Percorriamo dunque il dolce pendio che scende verso sud, sud-ovest verso il Colle della Rosa dei Banchi superando alcuni dossi troviamo una traccia fatta da qualche sci alpinista passato nei giorni scorsi. Decidiamo di seguirla anche perché passa proprio dove abbiamo visto essere il punto più comodo e sicuro. In pratica stiamo seguendo il corso di uno dei tanti torrentelli che scendono dal ghiacciaio. Nel frattempo notiamo una persona con le ciaspole di ritorno dalle parti del ghiacciaio. Sembra che si sia comunque fermato sotto il colle, proprio per le brutte condizioni della neve. Scendiamo lungo il pendio in direzione del rifugio per poi decidere di seguire la traccia del ciaspolatore. Arrivati in prossimità del pianoro, ci accorgiamo che il ciaspolatore è passato sopra il lago Miserin ancora ghiacciato e innevato. Già a metà mattina la neve comincia ad essere molle e poco stabile e pensiamo bene di non passare sopra il lago per paura di un cedimento del ghiaccio sottostante. Marco e Federico, mi tirano qualche accidente, visto che è stata una mia decisione di seguire la tracce del ciaspolatore, ma da una distanza più ravvicinata si vede la sagoma del lago. Tra l’altro dove ci siamo fermati era necessario risalire di qualche decina di metri per evitare l’immissario del torrentello che potrebbe avere ancora acqua sotto. Dopo circa 15 minuti di cammino riprendiamo la traccia degli sci e raggiungiamo così il rifugio Miserin. Il posto è bellissimo così come il pianoro e il rifugio. A saperlo prima ci saremmo fermati in questo rifugio a dormire. Facciamo una meritata pausa ristoratrice e ci incamminiamo verso il rifugio Dondena, passando sotto la cima appena salita. La neve è già puccia! E facciamo fatica, lungo il percorso avvistiamo alcuni camosci, è sempre bello vederli correre, spesso mi fanno invidia per la loro agilità. Quando arriviamo nei pressi del rifugio, avverto gli stessi rumori del giorno prima nella neve, segno evidente che siamo fuori tempo massimo ed è meglio ritornare sulla terra e sui sentieri in versione estiva!!

Arrivati al piccolo abitato di Dondena, io e Marco raggiungiamo il rifugio per riprendere la parte di attrezzatura che abbiamo lasciato per non caricarci gli zaini.

Scesi a valle, andiamo ad Arnad da Federico ed Elisa, che molto gentilmente ci hanno ospitato per la notte. La sera usciamo tutti assieme a mangiare. La serata trascorre bene e la compagnia è buona. Fede ed Elisa sono dei bravi ragazzi e si danno un gran da fare per il loro futuro. Dopo cena cominciamo ad avvertire la stanchezza della giornata appena trascorsa e andiamo tutti a dormire.

04 Maggio 2008 – Cleve di Moulaz

Sveglia alle 7.00, siamo da Elisa e Fede, ci prepariamo mettiamo via i nostri sacchi a pelo e ci diamo una sistemata. Ho dormito poco, come al solito quando cambio letto non riesco ad adattarmi. Ho perso l’abitudine di dormire fuori, come la scorsa estate, infatti a furia di dormire in rifugio alla fine non avevo problemi ad addormentarmi. Ora dopo qualche mese di letto di casa devo riabituarmi a dormire fuori. Salutiamo Elisa che ci ha gentilmente ospitato e andiamo a fare la spesa per la giornata e a fare colazione. Ripartiamo con la macchina e raggiungiamo il paesino di Allesaz, sul versante sinistro orografico della valle d’Ayas sopra Challand St Anselme. La giornata è abbastanza fresca anche se si sente che il tempo si sta riscaldando. Qualche velatura leggera sul cielo, ma questo ci fa piacere visto che siamo alquanto ustionati dai due giorni precedenti nella zona dell’Avic. Svuotiamo per bene lo zaino, siamo stufi di portare peso e di pestare neve, lasciamo giù anche le ciaspole, in quanto siamo convinti che troveremo solo qualche piccolo residuo di nevaio nei canaloni che attraverseremo. Partiamo di buon passo, questa mattina mi sento più in forma e quindi dopo i fatidici primi 15 minuti prendo il giusto ritmo. Passiamo per un bellissimo bosco, l’odore è piacevole e siamo avvolti dal silenzio. Dopo circa 1 ora e mezza di marcia arriviamo nei pressi dell’Alpe Moulaz. Questo è davvero un bel posto, un balcone panoramico su tutta la bassa e media valle d’Ayas, si vede Brusson e il laghetto, lo Zerbion e tutte le cime del Parco Avic, compreso l’omonimo monte. Prendiamo un attimo di fiato, per ripartire subito per le Cleve di Moulaz, vogliamo passare al mattino per evitare di trovare neve molle sui canali. Imbocchiamo la piccola mulattiera che attraversa il versante nord-ovest della Punta Champlon e troviamo l’amara sorpresa. Tutto il pendio è pieno di neve, in questo punto il sole batte pochissimo e la neve persiste fino a tardi. Lo sapevamo, ma non ci aspettavamo di trovare così tanta neve. Vado avanti io e comincio a pestare la neve, Marco è con i calzoncini corti e dopo pochi minuti lo sento nervoso e continua a cacciare accidenti. Notiamo che tutto il pendio è pieno di neve così come i canaloni, per fortuna è piuttosto pianeggiante e cerchiamo di farci strada nella neve, ma in alcuni punti sprofondo fino al bacino facendo un metro ogni cinque minuti. Marco mi passa avanti per provare lui a fare strada, ma io gli comunico che ho intenzione di mollare. Troppa neve, troppa fatica e poi non so come sono i canali, se sono peggio diventa anche pericoloso. Marco è nervoso, ci teneva a prendere il punto del suo GPS per pubblicarlo sul suo libro che ha in cantiere per l’estate. Capisco la sua delusione, ma stava diventando pericolosa ed eravamo solo in due. Stiamo per tornare indietro, quando appare una persona diretta alle Cleve. Quasi pensavo un fantasma, visto che sono percorsi abbastanza dimenticati, ma è stato anche l’apparizione che mi ha fatto diventare più ottimista. Ora siamo in tre e ci possiamo dividere la fatica di battere la traccia. Di comune accordo riprendiamo il cammino. Inizialmente Marco l’ho visto titubante, ma poi ci ha subito seguito. Mentre fatichiamo come schiavi egizi, facciamo conoscenza con Giuseppe, che ci racconta le sue escursioni in valle. Abbiamo trovato un altro appassionato di questa stupenda valle e della montagna. Passiamo il primo canale e la neve è piuttosto dura, sono molto meno faticosi i canali che la neve sulla mulattiera. Ciò non toglie che sono comunque più pericolosi, pertanto procediamo con cautela e uno alla volta. La neve comunque è ben assestata e problemi di scaricamenti sono relativamente bassi.

Continuiamo lungo la mulattiera coperta da 1 metro e mezzo di neve e finalmente arriviamo sul versante soleggiato, dove già crescevano i fiori. Il bello della montagna in questo periodo sono i forti contrasti, tra l’estate e l’inverno, basta cambiare versante e salire di duecento metri per essere ancora in un contesto invernale.

Saliamo il ripido pendio erboso, siamo visivamente stanchi, almeno io e Marco. Abbiamo alle spalle due giorni di salite e questa sfiancata di oggi si sente. Nello stesso tempo siamo contenti che ormai siamo quasi in cima. Così dopo altri 15 minuti di cammino tocchiamo l’ometto di vetta, la vista è davvero eccezionale su tutta la bassa valle. Si vede chiaro lo Zerbion, mentre le cime del Monte Rosa sono coperte dalle nuvole. Per fortuna la giornata rimane fresca e poco soleggiata, ma la nostra faccia brucia ancora, gli basta solo un piccolo raggio di sole per cuocere!!!

Facciamo le foto di rito, mentre Giuseppe si accinge a scendere a sistemare la croce sulla piccola cima ovest delle cleve. Scendiamo anche noi per qualche altra foto. Dall’alto guardo i canaloni della Champlon e noto con piacere che poco più sotto si assottigliano creando una specie di imbuto.

Riprendiamo il sentiero del ritorno e con più serenità torniamo verso valle. Ora la neve è meno problematica, è tutta ben pestata e in alcuni punti abbiamo letteralmente scavato una trincea, che nel ritorno ci facilita il passaggio. Dopo poco tempo rimettiamo piede all’Alpe Moulaz, dove finalmente mettiamo sotto i denti qualcosa da mangiare. Tolgo scarponi e calze che sono inzuppati e li lascio una mezzoretta al sole per farli asciugare. Intanto scambiamo quattro chiacchere ancora con Giuseppe, parliamo di fotografia e di stampe.

Ripartiamo verso valle e dopo circa un ora di cammino arriviamo ad Allesaz dove ci salutiamo con Giuseppe e ci scambiamo gli indirizzi e-mail. La giornata si conclude ad Arnad dove faccio un piccolo acquisto di abbigliamento e poi ritorniamo a casa per iniziare di nuovo la settimana.

Ho passato finalmente tre giorni sperduto tra i monti, senza rumori di macchine, problemi di telefono e tutto ciò che la vita moderna ha reso insopportabile. Questo contatto con la natura e con la realtà della vita è indispensabile per me, anche se costa fatica e a volte si torna a casa stanchi e spossati, ci si è comunque rigenerati. Si ritorna bambini alla scoperta del mondo. Spero di non cambiare mai questa mia filosofia di vita, anche se spesso mi porta ad isolarmi è comunque piacevole e nello stesso tempo rigenerante. Manca comunque la compagnia di una donna!

11 Maggio 2008 – Lerici – Escursione a Tellaro

Oggi è la prima gita ufficiale del mio CAI, siamo più di 50 persone. Comincia la mia avventura da accompagnatore, o meglio da aspirante accompagnatore. Il ritrovo è alle 5.50 e per le 6.00 partiamo con il pullman. Scambio qualche chiacchera con alcuni amici e poi riesco a dormire una mezzora. Il bello del pullman è che non hai il peso di guidare e si riesce a riposare. In questa gita partecipano anche i miei genitori, anche se non faranno la camminata. A loro piace godersi il bordo del mare!

Arriviamo a Lerci dopo tre ore esatte di viaggio, e la partenza per l’escursione l’abbiamo fissata per le 10.00 dando tempo a tutti di fermarsi a fare colazione al bar o di vedere il paese di Lerici. Io mi fermo a bere un cappuccio e a fare colazione per ricaricare un po’ di forze, anche se per questa escursione non ne serviranno molte. La giornata è bella, ma si vede arrivare qualche velatura da nord, che secondo le previsioni avrebbe portato a coprire nella serata il cielo.

Alle dieci ci riuniamo e cominciamo a camminare, io sono l’ultimo della coda e sono responsabile che tutti siano davanti a me. Il passo è abbastanza lento, ma senza grossi intoppi, c’è chi tenta ad accelerare e chi a rallentare, ma queste cose sono normali quando ci sono più di cinquanta persone. Anche se il sole non è forte, il caldo si sente e si comincia a sudare, nel frattempo raggiungiamo il paesino di Serra, che domina la costa tra Lerici e Tellaro. Il borgo e molto bello e si ha una vista panoramica su tutto il golfo.

Riprendiamo il cammino e lungo il sentiero, oltre agli scorci panoramici, sono molti i profumi della fioritura, anche i colori sono belli.

Dopo circa un ora di cammino arriviamo a Tellaro; a prima vista il borgo è molto bello e scendiamo subito verso il mare per prendere posto sugli scogli per mangiare qualcosa. Il sole splende ancora, ma le velature si fanno più consistenti, in ogni caso riusciamo a passare un’ora al sole. Mi metto in costume per cercare di abbronzarmi e di sminuire l’evidente segno della maglietta. Purtroppo il tempo a disposizione e il sole è poco e non fa molto. Decido quindi di abbandonare gli scogli per farmi un giro per i budelli di Tellaro. Passando per i piccoli vicoli, mi sembra di essere a Menton, anche se la bellezza di quel paese è forse unica.

Nel pomeriggio ci incamminiamo lungo la strada asfaltata che in circa 1 ora ci riporta a Lerici. Arrivati in paese, mi ritrovo con i miei genitori e dopo un meritato gelato, ritorniamo sul pullman, dove per il viaggio ci aspettano torte, dolci e vino a volontà.

25 Maggio 2008 – Salecchio Superiore e Rifugio Zum Gora – Valle Antigorio e Formazza.

Questa Domenica è in programma la gita CAI a Salecchio in Valle Antigorio e Formazza, ma a causa del maltempo siamo stati costretti ad annullarla. In ogni caso, io e altri irriducibili abbiamo deciso di “sfidare” la pioggia e il meteo e affrontare questa facile escursione.

Mi trovo in piazza con Maurizio, Marco e Donatella e dopo essere passati a prendere Massimo, partiamo per la Valle Antigorio. La giornata è nuvolosa in pianura, con una apparente tendenza a schiarirsi, ma mano a mano che ci avviciniamo alle montagne le nuvole diventano più basse e scure. In zona laghi piove e le nuvole sono basse. In alcuni punti è anche bello vedere le strisce di nuvole che coprono la bassa valle, lasciando invece scoperte le cime superiori. Arriviamo a Premia e la giornata è nuvola, ma asciutta, siamo abbastanza contenti in quanto pensavamo di arrivare alla partenza con già la pioggia.

Ci incamminiamo lungo la strada carrozzabile e nel frattempo contattiamo il rifugio per prenotare il pranzo. Vista la giornata che minaccia acqua sicura, abbiamo preferito pensare ad una bella mangiata più che ad una escursione fatta di dislivello e cime super panoramiche!

La giornata è umida e non molto fresca, percui dopo poche decine di minuti sto già sudando. La strada che porta a Salecchio è una carrozzabile con la C maiuscola, in quanto dove non è asfaltata è comunque priva di buche. Ma a noi che andiamo a piedi interessa poco, anzi l’asfalto da solo fastidio. Arriviamo all’ultimo tornate dove poi inizia la galleria, io e Maurizio proviamo ad andare avanti, ma poco dopo diventa completamente buia e proseguire sinceramente mi annoia. Sapendo che c’è il sentiero che passa esternamente, io Massimo e Donatella torniamo indietro e seguiamo il sentiero. Mentre Maurizio e Marco proseguono lungo la galleria. Il sentiero è decisamente meglio e passa anche vicino al torrente che in questo periodo di piogge è anche molto carico e bello da vedere. Arrivati al punto in cui finisce la galleria ci ritroviamo con gli altri e dopo qualche battuta ci accingiamo a raggiungere Salecchio Inferiore. Il morale è alto e il fatto che ancora non piove ci tiene allegri, sostenendo che anche una giornata così passata a casa è sprecata. L’unico rimorso è stato quello che la sera prima sarei dovuto andare al compleanno di mia sorella, ma visto l’orario e la lontananza del posto che avrei dovuto raggiungere, mi ha fatto rinunciare con malincuore nei suoi confronti.

Arriviamo al primo nucleo di Salecchio Inferiore coperto dalla nebbia delle nuvole, anche se non splende il sole che rende tutto più bello, il paese appare accogliente e bello. In questa parte del paese la costruzione più vistosa e notevole è la chiesa e il piccolo cimitero. Ciò che mi colpisce sono le tombe, molto semplici e umili, composte da un piccolo cumulo di terra rettangolare con in testa una croce in legno sormontata da un piccolo tettuccio, mentre al centro del cumulo è riposto un vasetto di vetro, usato presumibilmente per metterci i fiori. Usciamo dal minuscolo cimitero e proseguiamo verso le case poco più sopra, queste ultime sono le tipiche abitazioni Walser tutte in legno. Purtroppo sono tutte, a parte due, da ristrutturare e lasciate un po’ in abbandono. Una di queste addirittura ha un cartello di cartone con un numero di telefono e la scritta vendesi. Sarebbe bello poterla restaurare e usare come casa-rifugio personale, ma di questi tempi non è facile e poi non avrei tempo da dedicarle per rimetterla in sesto. Comincia a piovere, ma in maniera debole, che non mi infastidisce. Mi copro con la giacca antivento e metto la protezione allo zaino e proseguiamo nella nostra escursione.

Continuiamo verso Salecchio Superiore e percorriamo un bel sentiero dentro il bosco per poi uscire al paese alto. Qui si nota la differenza, il pendio è più ampio e panoramico sulla valle anche se si vede poco a causa delle nuvole, mentre il paese è quasi interamente ristrutturato e ben curato rispetto al precedente. Passiamo tra le viuzze strette dove comunque non esiste strada. Le case sembra che sorgono dalla terra come dei funghi. E’ incredibile l’intimità che si prova in questi posti, le case sono tutte una vicina all’altra ma rispettano quel diritto di riservatezza familiare in ogni singola abitazione. Ci fermiamo a parlare con alcune persone del posto, che hanno scelto di vivere parte dell’anno in questi posti. Ci parlano della tranquillità e del fatto che ci siano molte cose da fare. Sono abitazioni che richiedono cura e manutenzione, per essere così belle come le vediamo.

Dopo la piacevole chiacchierata, scendiamo al rifugio e ci prepariamo per mangiare. Siamo noi e un altro gruppetto, probabilmente amici dei rifugisti. Il mangiare è quello tipico della montagna: polenta, salsiccia con pomodoro e carne d’asino. Il tutto era davvero ottimo e l’ho gustato fino a fare la scarpetta con la polenta rimasta. La compagnia lo era altrettanto e si parlava di montagna, come sempre, politica ecc…. Finito di pranzare, ridiscendiamo lungo lo stesso percorso e raggiungiamo le macchine; consueta birra in compagnia e poi si ritorna a casa.

01 Giugno 2008 – Ferrata del Monte due Mani – Ballabio (LC)

Finalmente una cima, come si deve!! Questa domenica sono riuscito a fare una bella cima, anche se il persistere del maltempo, ha coperto gran parte delle cime più belle. Io con altri amici siamo andati a fare la ferrata del Monte due Mani. Avevamo ipotizzato una ferrata per questa domenica, ma fino al sabato pomeriggio non avevamo deciso niente, sia per il meteo e sia per la destinazione. Ci troviamo domenica mattina siamo in sei e con due macchine dopo consulti vari ci dirigiamo verso Lecco. Io sono in macchina con Giovanni e si parlava di proporre anche la ferrata dei carbonai al Grignone, ma la maggioranza era ormai orientata sul Monte due Mani, che non è mai stata salita da nessuno di noi. Dopo la colazione al bar, ci dirigiamo sulla strada per Morterone, il comune più piccolo d’Italia, e in pochi minuti arriviamo all’attacco della ferrata. La strada è stretta e facciamo fatica a trovare posto, ma alla fine riusciamo a sistemarci.

Ci mettiamo gli scarponi e indossiamo già imbrago e casco in quanto l’attacco della ferrata è molto vicina. Risialiamo il ripido sentiero che già quello provvede a spezzare il fiato e da un’idea di come sono faticose le salite di questa zona. Tutti i sentieri delle Grigne e della Valsassina sono molto ripidi e con molto dislivello. Arriviamo alla prima parete e la roccia è molto umida e scivolosa, preoccupandomi un pochino. Lascio andare avanti gli altri, così mi spaventano le eventuali vipere!!!! di cui ho il terrore. I primi passi sono molto cauti sia perché mi devo abituare alla verticalità del percorso e sia perché la roccia è molto scivolosa. Sono lento rispetto agli altri, anche perché cerco sempre di trovare gli appigli sulla roccia e usando la catena solo per una sicurezza maggiore. Non sono un bravo rocciatore e le poche volte che arrampico uso ovviamente le scarpette. In ferrata invece usando gli scarponi la sensibilità è pressoché nulla e faccio fatica a trovare l’appoggio sicuro sulle piccole asperità della roccia.

Superiamo la prima bastionata rocciosa e comincio a prendere il ritmo giusto, sia fisico che mentale. Dietro di noi c’è altra gente e davanti a noi un gruppo cai che ci rallenta e ci blocca alla seconda parete. Aspettiamo per quasi venti minuti, ma purtroppo sono tutti fermi sulla parete, in quanto c’è gente in difficoltà e da come li vediamo muovere, credo sia un corso.

Lungo tutta la ferrata c’è un sentiero che evita le bastionate rocciose e decidiamo di saltare a malincuore questo tratto, ma se restiamo dietro a loro non ne usciamo più. A passo svelto superiamo la bastionata e ci portiamo di fronte a quella successiva, dove il resto del gruppo CAI era in sosta ad attendere gli altri. Riusciamo a passare avanti e abbiamo la ferrata tutta per noi!! Anche questo tratto è molto verticale e ci vuole sia una buona tecnica di roccia e sia forza per tirarsi su con la catena, quando gli appigli vengono a mancare. Su un tratto un po’ esposto e ripido, stavo per scivolare. Cercavo l’appiglio giusto e quando mi sono accorto che non riuscivo a raggiungerlo, mi sono dato uno slancio tirandomi con la catena. Purtroppo nel momento dello slancio i piedi mi sono scivolati e stavo per volare. Per fortuna che ho avuto la prontezza di buttarmi in fuori tirando la catena e puntando i piedi di nuovo.

Arrivato al termine della bastionata, scatto qualche foto. Il panorama su Lecco e la pianura è bello, ma la giornata di sole velato da nubi sottili in quota non fa risaltare la bellezza dei luoghi. La compagnia è ottima e siamo tutti con l’umore alto. D'altronde è ormai un mese che persistono nuvole e pioggia senza lasciare spazio al bel tempo e questa tiepida occhiata di sole, ricarica l’umore. Proseguiamo lungo il sentiero che ci porta alla prossima parete, ma purtroppo un cartello ci avvisa che il tratto è in manutenzione. Ci consultiamo e decidiamo tutti di evitare di cacciarci nei guai. Il cavo sembra fissato fino in cima, ma personalmente se c’è l’avviso che dice “vietato l’accesso” un motivo valido ci deve essere. Prendiamo il sentiero che passa alla destra della parete, risalendola per il ripido versante erboso. Raggiunta la parte superiore della parete, notiamo che i cavi e le catene del tratto finale sono fissate in maniera provvisoria. Se avessimo percorso quel tratto avremmo avuto qualche problema. A questo punto il panorama e la vegetazione cambiano e lasciano posto ai verdi pendii e alle roccie dolomitiche. Questa zona, da me sempre “snobbata” mi sorprende e mi piace. Sicuramente le val d’Aosta e la Val d’Ayas sono molto più attraenti e interessanti, ma anche questa zona prealpina Lecchese, ha degli scorci e delle cime altrettanto interessanti. Se aggiungo che sono vicine a casa mia, le posso sempre raggiungere e fare qualche giro in una mezza giornata.

Riprendiamo il cammino e passiamo anche l’ultimo tratto di ferrata che ci porta sul sentiero attrezzato in cresta. Sono contento perché è il tipo di percorso che piace a me, camminare e brevi arrampicate su roccia e con un bel dislivello. Oltre alla bellezza del luogo, alla salita, alla compagnia è un buon allenamento.

Dopo qualche tratto in cresta aereo e bello arriviamo in cima. Ho evitato di scendere da alcune roccette bagnate perché in discesa non mi piace molto fare rocce, se aggiungo che era bagnata e friabile, ho preferito evitare.

Ci rilassiamo e mangiamo in cima, le cime delle Grigne sono coperte dalle nuvole e non si lasciano vedere.

Riprendiamo il cammino e decidiamo di scendere dal versante opposto, sperando di ricongiungerci al punto di partenza. Dall’alto notiamo che c’è un piccolo sentiero che scende direttamente sulla strada per Morterone. Durante la discesa, nella parte bassa della montagna, l’incontro inaspettato e indesiderato con una biscia o vipera, che mi passa sopra il piede, scappando poi in mezzo all’erba. Non sopporto i serpenti di qualsiasi genere e la cosa mi disturba. Per i dieci minuti a seguire, mentre cammino, mi guardo continuamente i piedi battendo i bastoncini a terra per paura di qualche altro incontro.

Per evitare di fare più strada, in quanto il sentiero ci portava sempre più lontani da dove abbiamo parcheggiato, decidiamo di tagliare giù per i pendii. Riprendiamo quindi la strada asfaltata e dopo una mezz’ora arriviamo alle macchine, facciamo una sosta birra e torniamo a casa.

08 Giugno 2008 – Punta Valnera e Rifugio Arp – Valle d’Ayas (AO)

Altra cima sotto la pioggia, questa volta ho sperimentato tutti i fenomeni atmosferici possibili in mezza giornata. Questa domenica doveva essere dedicata ad una gita CAI, ma come ormai da oltre un mese il tempo è davvero pessimo, siamo a sei settimane di precipitazioni continue e cielo sempre coperto. La gita quindi salta, perché la gente non si muove e preferisce stare a casa e farsi la gita al centro commerciale!!!

Ci troviamo in Piazza con Silvio, Maurizio, Vito e Gianfranco e lungo l’autostrada recuperiamo il mio amico Alessandro di Vercelli e ci dirigiamo verso la bellissima Val d’Ayas. Arrivati ad Estoul, ci aspettavamo qualche occhiata di sole, come dicevano le previsioni, ma il cielo era tutto coperto e scuro. Decidiamo di salire la Punta Valnera e di fare un giro ad anello che ci porta poi al Rifugio Arp e poi di nuovo a Estoul.

Partiamo consapevoli di prendere acqua e ci dirigiamo verso l’Alpeggio di Mouscheroulaz e prendiamo un piccolo sentiero in uso solo dai pastori. E’ bello percorrere sentieri non segnalati e non prettamente per turisti, in quanto vedi angoli di montagna “esclusivi”. In molti casi è la vegetazione a farla da padrone nascondendo i tratti dei piccoli sentieri. Raramente troviamo gli ometti, ma Silvio conosce abbastanza bene questo piccolo valloncello in quanto lo risale in inverno per una sua classica salita sci alpinistica. Raggiungiamo la parte alta del valloncello e giungiamo sui primi ripiani erbosi e rocciosi sopra Estoul. Qui cominciamo a trovare i primi nevai, che quest’anno sono davvero bassi, mai visto in giugno grossi nevai a 2000 metri di quota, sembra di essere ancora in Maggio. Il cielo è nuvoloso e comincia a piovere, ma lo sapevamo. Alla mia destra sfila la cresta nord del Monte Ciosè, molto frastagliata e con le nuvole basse, sembra la porta dell’inferno!! Passiamo qualche nevaio e in alcuni punti la neve è ancora alta, tanto da sprofondare fino alle anche. Dopo circa 15 minuti arriviamo ai Laghi di Estoul, in parte ancora ghiacciati, tutto il terreno è ancora brullo e se continua così il tempo, lo resterà per buona parte dell’estate compromettendo i pascoli d’alta quota.

Per superare i laghetti ed evitare i grossi nevai, dobbiamo passare poco più in alto su terreno roccioso e molto scivoloso, rallentando e rendendo difficoltosa la progressione. Lungo il tragitto troviamo altri escursionisti incalliti come noi che sfidano il maltempo per godersi le poche ore che la domenica ci concede per vivere in questi posti meravigliosi. Si scambia quattro chiacchere e tutti sono diretti alla Punta Valnera come noi.

Mentre saliamo al colletto Valnera, comincia a nevicare e spira un vento gelido, io sono senza guanti e non sento più le dita delle mani. Dopo poche decine di minuti arriviamo in cima al colletto e la neve lascia il posto ad una bella schiarita. Dopo pochi minuti sopra di noi il cielo è di un azzurro intenso, come non lo vedevo da parecchie settimane, mentre tutto intorno è ancora annuvolato e decisamente nero da temporale. Entusiasti del sole saliamo la ripida cresta sud ovest della Punta Valnera e in circa 15 minuti arriviamo in cima. Classiche foto di rito, e poi ci sediamo per pranzare scambiando quattro chiacchere. Tutto intorno è nero come la pece, mentre sopra di noi persiste il grosso buco azzurro, regalandoci un po’ di sole. Di fronte abbiamo la cima del Monte Bieteron, mentre sotto si vedono i laghetti di Resy ancora ghiacciati. Diamo uno sguardo alla nostra prossima meta, il rifugio Arp e notiamo che il versante nord della Valnera, non è così tanto carico di neve e pertanto decidiamo di raggiungerlo. Mentre stiamo chiacchierando allegramente in cima, i tuoni cominciano a farsi sentire e il nero del temporale è sopra la Valle di Gressoney. Restare sulla cima e sulla cresta è pericoloso per i fulmini, quindi ci affrettiamo a scendere per essere più al riparo. Scendiamo di nuovo verso il colletto e da li andiamo sul versante nord della Valnera. Inizialmente la neve è parecchia e in alcuni punti sprofondiamo, facendo fatica a passare. In alcuni punti invece la neve è ben pressata e non crea problemi. Scendiamo gradualmente di quota e per fortuna anche la neve diminuisce, fino ad arrivare nei pressi del rifugio. Per fortuna i tuoni sono rimasti al loro posto e non si è scatenato nessun temporale e in pochi minuti arriviamo al rifugio Arp, che fortunatamente è aperto. Entriamo nel famoso rifugio, che ne ho sempre sentito parlare in valle, ma non ho mai avuto occasione di visitare. La struttura è davvero grande e più che un rifugio ha la parvenza di un albergo di alta montagna. In rifugio ci siamo noi e poche altre persone, ci sediamo sui divanetti e ordiniamo da bere. L’escursione è ormai al termine e ci concediamo la meritata birra. Oltre alla birra mi mangio una buona fetta di torta di mele. Questa volta ho deciso di offrire io la merenda a tutti e dopo aver pagato il conto, un po’ salato!! Ci prepariamo per scendere a Estoul.

Ci incamminiamo lungo la strada e visto che ora percorriamo una comoda strada carrabile, mi metto a smanettare con il GPS per imparare ad usarlo. E’ un bel marchingegno, molto utile su ghiacciaio e sulla neve per trovare il giusto percorso, mi devo esercitare ad usarlo nella maniera giusta, in quanto tornerà utile.

Raggiungiamo in breve Estoul e da li scendiamo a valle fino a casa dove ci aspetta un bel temporale.

Basta pioggia, ci vuole il sole e il tempo stabile, altrimenti qua va tutto a ramengo!!

14 Giugno 2008 – Rifugio Margaroli - Val Formazza (VB)

Prima escursione alpinistica del mio cai. Partiamo nel primissimo pomeriggio dopo il lavoro e dopo che ci siamo trovati tutti, partiamo per la Val Formazza. Il tempo in pianura si sta velando e anche verso le montagne si vede già che è più scuro. Arriviamo in zona del lago Maggiore è già le nuvole sono nere, presagio di tempo brutto, mentre guidiamo notiamo che nella nostra direzione è ancora un po’ più chiaro, ma sappiamo che presto diventerà brutto anche li.

Arriviamo a Valdo e il tempo è ancora decente per una sgambata, ma il cielo è sempre velato e nasconde il sole. Prendiamo la seggiovia che ci porta al di sopra delle piste invernali da sci, dimezzando il percorso da fare a piedi. Avrei evitato la funivia, ma partendo a piedi da valle sarei arrivato tardi e già stanco, dopo una giornata di lavoro.

Ci incamminiamo e il primo tratto è abbastanza ripido, spezzando già il fiato, si sa il primo quarto d’ora di cammino è sempre il più faticoso. Passiamo in mezzo ad un bel bosco e sono tante le cascate che troviamo lungo la strada, notiamo anche che la neve è ancora molto bassa per la stagione estiva. Usciti dal bosco siamo nel bel vallone del Vannino, che se non fosse per la giornata pessima avrei esaurito la scheda della memoria della macchina fotografica. Arriviamo ad una bella cascata e facciamo una sosta fotografica, qui inizia anche a piovere e a scendere qualche fiocco di neve. Passiamo il vallone ed una piccola e antica diga e finalmente il rifugio è in vista. Mentre ci avviciniamo al rifugio incontriamo numerose marmotte, sono degli animaletti molto belli e le adoro, visto che l’estate tarda ad arrivare, sono ancora “rimbambite” e si riescono ad avvicinare e a fare delle belle foto.

Arriviamo al rifugio e comincia a piovere seriamente e successivamente si trasforma in neve. Ci sistemiamo nelle camere e ci incontriamo con gli altri partecipanti della gita. Io e Maurizio ci sistemiamo con il rifugista e con Silvio ci consultiamo per la salita del giorno dopo. Silvio dice che la neve è buona e la salita senza grossi problemi; volendo si può salire anche senza essere legati, ma per prudenza e sicurezza del gruppo decidiamo di andare in cordata.

Dopo le consultazioni e una birra in compagnia, esco dal rifugio per fare qualche foto e per la prima volta nella vita, vedo una bellissima volpe in cattività. E’ un animale stupendo, mi piace come si muove e soprattutto lo sguardo. Riesco a fare qualche fotografia da vicino, anche se è difficile scattare la foto nel momento giusto.

A fine serata ci riuniamo per la cena e purtroppo alcuni partecipanti rinunciano alla salita a causa del brutto tempo che sta arrivando. Li posso capire, dopo così tanto tempo a fare uscite con nuvole basse, pioggia e neve, si perde molto l’entusiasmo e paure e ansie si fanno avanti insieme ad una scarsa voglia di faticare per non vedere nulla.

Dopo cena andiamo a dormire, il giorno dopo la sveglia è alle 5.00.

15 Giugno 2008 – Punta d’Arbola - Val Formazza (VB)

Ci alziamo alle 5.00, ancora un po’ assonnato mi preparo, fortunatamente sono riuscito a dormire qualche ora, nonostante i tipici rumori notturni che si sentono quando i rifugi sono pieni!! Scendiamo a fare colazione e vediamo fuori che le nuvole ci sono, ma sono ancora alte. Usciamo tutti dal rifugio già con l’imbrago e ci incamminiamo verso il Passo del Vannino. Intorno a noi il poco verde che ci circonda è imbiancato da una spolverata di neve scesa nella notte. Il lago del Vannino è ancora gelato per metà e mentre lo passiamo dalla sua sponda nord, notiamo che i pendii esposti a nord, hanno ancora parecchia neve. Siamo in estate, ma la neve è quella della tarda primavera.

Risaliamo il fianco della montagna sottostante il Corno di Ban e raggiungiamo il secondo lago, il Lago Sruer. Davanti a noi ci sono due persone. Il lago è ancora in buona parte ghiacciato e la neve in questo pianoro, comincia ad essere quasi continua. Passiamo alcuni canali con neve ghiacciata, un po’ rischiosi in quanto se si scivola si finisce dritti dentro il lago, e credo che il bagno non sia piacevole in questo momento!!!! Superiamo il lago e risaliamo il pendio in direzione nord-ovest, arrivando ad un pianoro detritico. Qui la presenza della neve diventa continua e fortunatamente è portante, risaliamo l’ultimo tratto fino al passo senza ramponi. Le persone che hanno deciso di abbandonare l’ascensione si fermano qui, mentre noi cominciamo a legarci e a calzare i ramponi.

Nel frattempo le nuvole scendono più basse, mentre da valle ne arrivano altre coprendo completamente e definitivamente la visuale; per fortuna che ci sono le tracce ben evidenti fatte da Silvio il giorno prima che ci guidano verso la cima.

Partiamo tutti in cordata, io sono capocordata e la mia è quella che chiude il gruppo, abbiamo un passo lento ma costante. Il vantaggio della nebbia è che non ti rendi conto se stai affrontando una salita lunga o meno, ti basi sulle informazioni per sentito dire, sappiamo che ci vogliono circa 2 ore per arrivare percui ci mettiamo l’anima in pace e saliamo. Superiamo il primo pendio senza grosse difficoltà e ci immettiamo sotto la parete nord-ovest, un grosso scivolone di ghiaccio e neve. Riusciamo a distinguere chiaramente le due creste della parete pertanto siamo sicuri di essere sulla giusta via di salita. Non riusciamo a vedere bene quanto manca alla cima perché completamente coperta.

La mia cordata reagisce bene, sono tutti di buona gamba e il ghiacciaio è comunque tecnicamente facile. Arrivati a circa tre quarti dalla salita, cominciamo a fare piccole pause in quanto la pendenza e notevole e si fatica. Poi l’altitudine fa il resto! In un momento di schiarita guardo verso il basso e capisco che siamo già ad una buona quota e noto anche la pendenza ben accentuata del pendio; la cima non si vede ancora.

Camminiamo ancora e ogni tanto tocca salire di punta con i ramponi che spesso scivolano a causa dell’inevitabile zoccolino di neve che si forma sotto. Arriviamo appena sotto una cresta rocciosa e sento delle voci, e dopo poco vediamo uscire dalla nebbia le due persone che erano davanti a noi, sono un ragazzo e una ragazza che erano anche loro al rifugio la sera prima. Ci informano che siamo quasi arrivati in cima e scherzosamente ci dicono che c’è un bel panorama!!!! Mentre loro scendono sento altre voci e guardando nella nebbia noto tre persone sulla cresta ovest della punta d’arbola che si avvicinano verso la nostra direzione. Anche noi salendo ci accorgiamo di essere sulla parte finale della salita e si distingue una sorta di crepaccia terminale completamente chiusa dalla neve. La scavalchiamo e in pochi minuti siamo in cima.

L’euforia e la contentezza, mi invade, siamo riusciti ad arrivare senza nessun problema anche con il tempo pessimo che imperversava. La neve continua a cadere copiosa e mentre ci stringiamo la mano arrivano anche le tre persone che abbiamo visto in cresta, sono due ragazzi e una ragazza svizzeri. Loro sono saliti dal versante svizzero della cima. La cosa che mi ha colpito è che erano legati, ma senza ramponi. Sono passati per una cresta di misto senza ramponi, con il rischio di scivolare sulle rocce con il classico verglass che si forma o sulla neve residua sulle rocce.

Foto di rito e scendiamo subito, purtroppo lo spazio in cima è molto ridotto e poi il panorama è assente.

La discesa avviene senza problemi, purtroppo io rallento la mia cordata per il solito problema di ginocchia che mi costringe a non forzare nella discesa, ma fino al rifugio si comporta egregiamente. La neve continua a cadere e preso dal delirio di questa giornata di stampo invernale, mi metto a cantare le canzoncine di Natale!!

Facciamo una breve sosta al rifugio, dove troviamo con sorpresa che è pieno di gente che è salita per mangiare, ci danno una stanzina dove ci possiamo sistemare. Scambio qualche chiacchiera con i miei compagni di avventure e si fanno i soliti progetti ottimistici post cima. E’ bella l’euforia e la soddisfazione che si prova dopo aver salito una cima, qualsiasi sia la difficoltà arrivare in cima è sempre una cosa che mi piace anche se si tratta di una facile camminata di un’ora.

Io e Maurizio ci prepariamo e visto che siamo in macchina assieme scendiamo verso valle per prendere la prima seggiovia. Mentre scendiamo verso valle, la neve si trasforma in pioggia e finalmente arriviamo alla seggiovia. Troviamo anche gli altri, che sono scesi prima di noi, e ci dicono che non si vede anima viva. Si era inteso che la seggiovia partisse alle 14.00 invece dopo più di un quarto d’ora di attesa non si vede nessuno arrivare e l’impianto è fermo. Decidiamo per la drastica e per me sofferta decisione di scendere per il pistone da sci. Sono 500 metri puri di discesa ripidissima, un suicidio per le mie ginocchia. Cerco di scendere con moderazione, ma dopo neanche 150 metri di discesa comincio ad avvertire i primi dolori da affaticamento. Scendo come un azzoppato e uso i bastoncini come stampelle per evitare di caricare ulteriormente le ginocchia, se aggiungiamo che pioveva a dirotto, il tutto era un calvario. Quando ormai arrivo in prossimità del paese, mi sento più sollevato e in pochi minuti arrivo al parcheggio, con i piedi e le ginocchia fumanti!!.

Prima di partire con maurizio ci fermiamo al bar per prendere qualcosa, anche la sosta al bar dopo un escursione o ascensione è una cosa piacevole, poi spesso si scambiano quattro chiacchiere con la gente del posto. Si sente la loro versione della montagna, quella vista da chi ci vive e scopro che tante cose sono uguali alla mia quotidianità, senz’altro i ritmi sono diversi così come i problemi della vita di tutti i giorni, ma sono sempre convinto che lassù anche se faticosa e più solitaria e migliore della vita frenetica e spesso senza senso che faccio in città.

Saliamo in macchina e con la stanchezza tipica delle salite più impegnative torniamo a casa, accompagnati dalla pioggia che ormai e diventata il simbolo dell’estate 2008!!!

21 Giugno 2008 – Rifugio Ferraro – Val d’Ayas (AO)

Questo fine settimana, dopo essermi messo d’accordo con Manuela, Gabriele, Marco, Federico e Davide, andiamo in Val d’Ayas. Dopo il lavoro parto assieme a Manuela e Gabriele per la Val d’Ayas e ci dirigiamo al rifugio Ferraro. Partiamo nella seconda metà del pomeriggio dal bel paesino di Saint Jacques, imbocchiamo il sentiero e con molta calma saliamo i 300 metri che ci porteranno fino alla nostra meta di oggi. Nel frattempo si parla e si scambiano quattro chiacchere e già si intuisce che la compagnia è buona e divertente. Raggiungiamo il rifugio e ci accoglie la Signora Fausta che subito mi riconosce, come l’amico di Marco Varasc!! Andiamo a prendere posto nella nostra cameretta e noto con piacere che il rifugio è stato rimesso completamente a nuovo. Anche qui la modernità e le comodità hanno preso piede. Camerette confortevoli e accoglienti, letti comodissimi. Sala da pranzo rustica ma funzionale e cucina da fare invidia ad un ristorante. Passiamo il tempo a chiacchierare e poi con Manuela andiamo a vedere la libreria del rifugio nella mansarda. Il locale è arredato con bandierine tibetane e nello stile tipico del tibet, con grossi piumoni per terra. I libri tutti sistemati lungo le pareti della mansarda, un po’ scomodo da raggiungere ma molto bello e tranquillo come ambiente. Guardiamo le foto dei viaggi della Signora Fausta e non ci accorgiamo che manca poco alla cena. Scendiamo giù e prendiamo posto a tavola e poco dopo ci viene servita la cena. In fianco a noi ci sono tre signore, che a sorpresa sono Valdostane. Non mi capita spesso di vedere dei Valdostani a dormire in un rifugio, dove si trovano persone da tutta italia, fuori che dalle valli vicine. Si parlava di agricoltura e dello spopolamento delle valli e ci dicevano che per loro andare in rifugio a mangiare e dormire è una sorta di vacanza relax. Dopo una buona e abbondante cena, ci mettiamo a dormire in previsione della lunga camminata del giorno dopo.

22 Giugno 2008 – Becca Trecare  - Val d’Ayas.

Sveglia alle ore 6.00 e in gran fretta ci vestiamo e scendiamo a far colazione, siamo in ritardo e Marco, Federico e Davide ci aspettano a Saint Jacques. Per raggiungerli dobbiamo percorrere 300 metri di dislivello. Dopo la colazione salutiamo la signora Fausta per l’ospitalità in rifugio e partiamo subito, siamo già in ritardo e scendiamo in fretta. Raggiungiamo gli altri e dopo i saluti, specie con Davide che non ci vediamo da quasi un anno ci mettiamo subito in cammino. Il tempo sembra bello, ma vediamo verso sud est delle nuvole scure che si avvicinano. Cominciamo a salire lungo la carrabile del vallone di Nannaz, mai percorso fino ad ora e scopro essere un bellissimo angolo della Val d’Ayas; un po’ chiuso, ma abbastanza suggestivo. Mentre saliamo ricevo la telefonata di Elena che ci dice che sta venendo in valle e che a Quincinetto diluvia. Cominciano le mie imprecazioni, contro il meteo che non vuole proprio cambiare. Mentre risaliamo si parla di molte cose, tutte ovviamente inerenti alla montagna, e già notiamo che la compagnia, nonostante alcuni di noi non si conoscono per niente, è buona e la giornata promette bene su quel lato. Saliamo e raggiungiamo un pianoro dove ci sono le baite dell’Alpe di Nannaz, l’ambiente è molto bello, pieno di fiori e contornato da un bellissimo bosco. Mi piace qui e scatto diverse foto. Percorrendo il lungo vallone il paesaggio è molto bello e le cime dei due Tournalin e della Becca di Nannaz innevate lo rendono ancora più suggestivo. Faccio un po’ fatica, probabilmente devo recuperare un po’ di energie che in estate, tra il lavoro e l’attività intensa in montagna la fanno pesare di più. Intanto il meteo continua a peggiorare e le nuvole cominciano a coprire le cime. Io visto il meteo di primo mattino, ho lasciato giù ogni cosa, giacca antivento e pioggia compresa. Un errore gravissimo per un aspirante accompagnatore!!!

Raggiungiamo il rifugio Tournalin dove sostiamo per una breve pausa dissetante, nel frattempo notiamo che arrivare al colle non è complicato e la neve da attraversare è poca. La Becca di Nona ha su ancora parecchia neve, anche se a mio giudizio è fattibile, mentre i due Tournalin sono ancora un po’ troppo pieni di neve.

Ripartiamo dal rifugio, la salita è moderata e in breve arriviamo in prossimità del Colle di Nannaz. Evitiamo diversi nevai, passando per lo sfasciume e qualche facile roccetta fino ad attraversare l’ultimo nevaio. Dal colle notiamo che il meteo sembra tenere ancora per poco tempo, ma le nuvole nere a est e sulla cresta di confine a nord sono minacciose. Siamo a metà mattina, perciò abbiamo ancora tempo qualche ora prima che si scatenino i tipici temporali pomeridiani e decidiamo di salire in cima alla becca Trecare che risulta pulita e facilmente raggiungibile. La Becca di Nannaz invece è abbastanza carica, anche se riguardandola da questo punto mi sembra comunque fattibile con l’adeguata attrezzatura.

Puntiamo alla cima della Trecare; Gabriele e Davide scattano come delle saette e ci distaccano di un bel pezzo, mentre io, Marco e Manuela saliamo con calma. Dopo vari passaggi tra il terreno un po’ sdrucciolevole e piccoli sfasciumi, raggiungiamo la vetta. Facciamo diverse foto e piantiamo la bandiera del nostro forum AroundAyas, con la soddisfazione di tutti per essere arrivati fino in cima.

Il meteo sembra ancora tenere abbastanza e decidiamo di mangiare in vetta, si sta bene, la temperatura è gradevole, ma proprio perché la temperatura dell’aria è alta e la pressione è in discesa che capisco che nel pomeriggio sarebbe arrivato un bel temporale forte. Dopo il pranzo a base di panini, affettato e formaggio, scendiamo verso il rifugio Tournalin e da li ritorniamo alle macchine. La giornata è risultata soddisfacente su tutti i fronti, un po’ meno per il meteo. La compagnia è stata ottima e ci siamo divertiti tantissimo.

28 Giugno 2008 – Rifugio Arbolle – Valle d’Aosta

Questo fine settimana, abbiamo la seconda uscita alpinistica in programma, con destinazione la cima del Monte Emilius. Alle 12.50 Manuela mi raggiunge a casa e assieme andiamo a recuperare gli altri componenti del nostro gruppone. Alcuni sono già partiti per la Vallèe, mentre noi carichiamo in macchina Maurizio e Giuseppe e ci dirigiamo in autostrada. Passiamo da Carisio per prendere anche Marco di Biella (Varasc.it) e in poco meno di 1 ora e 30, arriviamo al parcheggio della seggiovia di Pila. La stazione della seggiovia è piena di gente, ci sono parecchie persone con le mountain bike che fanno discesa. Caricano le bici sulla seggiovia e una volta arrivati sopra scendono a forte velocità lungo i ripidi sentieri creati apposta per loro. E’ il proseguimento della discesa invernale, difatti le piste da sci si trasformano in piste di downhill in estate. Altre alla presenza di questi ciclisti in stile americano, ci sono parecchie persone distese nei prati e sulle sdraio a prendere il sole. Arrivare in questo posto sembra di essere in una località di mare con tanto di belle ragazze in costume. Distratti dalla mondanità di questo posto, facciamo il biglietto e ci mettiamo in fila per salire sulla seggiovia. L’attesa è lunga in quanto ci sono dei problemi con i motori e spesso ci sono delle interruzioni e la seggiovia si blocca. Difatti la salita è spesso interrotta e rimaniamo appesi nel vuoto, mi godo il panorama e continuo a chiacchierare.

Arriviamo all’imbocco del sentiero, che si trova proprio davanti alla seggiovia e ci incamminiamo verso il lago di chamolè. Il meteo è bello e il cielo abbastanza pulito, qualche nuvola copre le cime più alte e mentre saliamo diamo uno sguardo alla meta del giorno dopo. La cima del Monte Emilius sembra abbastanza pulita, ma so per info prese dal rifugista che sotto il colle dei tre cappucini e nella zona del lago gelato c’è ancora neve. Salendo e chiacchierando con Manuela e Marco arriviamo senza accorgerci al colle, da dove si vede il rifugio. Purtroppo dobbiamo scendere di quasi 150 metri, che non piace a nessuno, in quanto il giorno dopo li dovremo risalire. Con la stanchezza di tutta la giornata passata sull’Emilius non è piacevole fare 150 metri di salita!! Io personalmente preferisco di più le salite che le discese!!!

Scendiamo lungo il sentiero che in un punto è interrotto da una frana e in breve raggiungiamo il rifugio e gli altri componenti del gruppo. Prendiamo posto nel camerone e preparo il mio letto, così non ci penso più!! Mi faccio un giro turistico del rifugio e noto con piacere che c’è un bellissimo locale invernale con tanto di cucina, il che  penso ad una salita per questo inverno.

A cena il rifugio è affollato, un foltissimo gruppo di sordo-muti bergamaschi, noi e altre persone a piccoli gruppetti. Il tavolone dei sordomuti nonostante il loro handicap fanno più rumore di tutti, mentre i loro accompagnatori intonano canti alpini che rallegrano la serata. Una parte della nostra tavolata ci da dentro con vino e genepy, e tra me e me pensavo che qualcuno l’indomani non si sarebbe alzato nemmeno con le cannonate. Io cerco di bere il meno possibile, ma comunque qualche bicchierino lo butto giù anch’io. Il bello del rifugio è anche quello! Dopo cena mi faccio un giro fuori dal rifugio in attesa che arrivano gli ultimi del nostro gruppo che per problemi di lavoro sono dovuti partire tardi. Una volta arrivati mi preparo e vado a dormire, il giorno dopo sarà una salita piuttosto faticosa.

29 Giugno 2008 – Ascensione al Monte Emilius – Valle d’Aosta

La notte ho dormito pochissimo, forse l’agitazione o forse il letto diverso, mi “sveglio” alle 4.45 e comincio a prepararmi. Sbircio fuori dalla finestra è il cielo è terso, la giornata o per lo meno la mattinata promette molto bene. Partiamo con passo lento, per non affaticare subito le gambe, ma soprattutto per cercare di tenere unito il gruppo. Si sta molto bene fuori, io dopo pochi passi mi tolgo il pile smanicato e la giornata sembra essere ottima. Il gruppo è compatto, ma per alcuni il passo risulta troppo lento, ma in una gita di gruppo si cerca di restare il più possibile uniti per dare la possibilità a tutti di non affaticarsi troppo. La strada per la cima del Monte Emilius è lunga e bisogna saper dosare bene le forze. Arriviamo ai pianori sotto il lago ghiacciato, da dove si vedono già delle belle cime come quella del Monte Bianco e del Ruitor. La giornata è tersa e sul fondo valle si vede qualche nebbia tipica dell’inversione termica. Qualche componente del gruppo si allontana per velocizzare il passo e viene subito richiamato da Maurizio, mentre noi  tutti facciamo una pausa.

Ripreso il cammino raggiungiamo in breve il lago gelato e notiamo già che la neve non è molta, ma arrivati nella conca sotto il colle dei tre cappuccini i nevai residui sono tutti sul pendio finale che porta al colle stesso. Il sole non è ancora arrivato a scaldare la neve e per alcuni risulta difficoltoso attraversare il nevaio. Effettivamente a chi non è abituato può spaventare, ma trattandosi di neve rigelata sappiamo che tiene sufficientemente ed inoltre non ci sono strati di ghiaccio pericolosi. Purtroppo diventa difficile tenere a bada tutti e qualcuno comincia a scappare verso il colle. E’ difficile riuscire a tenere le persone adulte e per esperienza fatta, credo che i bambini in questi caso sono i più ubbidienti. Maurizio si occupa di un gruppo, i più veloci, mentre io mi occupo di quelli più lenti, cercando di gradinare il più possibile nella neve per facilitare gli altri che mi precedono. Dietro di me c’è Manuela che è un po’ impressionata, ma dopo qualche rassicurazione e istruzione tecnica riesce a superare il facile nevaio e proseguire poi sullo sfasciume.

Per evitare appunto la neve, risaliamo per sfasciumi fino a poco sopra il colle, all’inizio della via di salita all’Emilius. Qui purtroppo noto che il lato più facile della via di salita è spesso coperto da neve e pertanto ci tocca risalire lo sfasciume più esposto, ma più sicuro. Con me c’è anche Pierangelo e Maurizio di Pavia. Maurizio quasi subito decide di fermarsi e mi promette che rimane fermo appena sopra il colle a prendere il sole. Mi posso fidare a lasciarlo perché so che non sarebbe sceso da solo. Mentre Pierangelo continua la salita, ma mi confessa che non se la sente di arrivare fino in cima e lentamente ci segue. Manuela e Vito sono dietro di me, mentre Marco di Biella e l’altro Marco sono davanti a me. Si fa fatica e non sempre i passaggi sono facili per tutti. In ogni caso non preoccupano più di tanto, i passi in salita sono più naturali rispetto a quelli in discesa.

Ad un tratto mi sento chiamare dal basso, è Pierangelo che mi avvisa che non se la sente di salire fino in cima e decide di fermarsi e aspettarci per scendere assieme. Conosco Pierangelo e so che non commette imprudenze e ci avrebbe aspettato prima di scendere verso il lago gelato e verso il rifugio, d'altronde sono le persone che fino ad ora mi hanno insegnato molto in montagna.

Nel frattempo salgo insieme a Manuela, la quota comincia a farsi sentire e i passi diventano più pesanti. Io mi sento bene e non avverto stanchezza, nonostante ho passato la notte in bianco. Anche la quota sembra non darmi problemi.

Con fatica risaliamo i grossi massi, e finalmente raggiungiamo la cima, accolti dagli applausi del resto del gruppo. Verso Ovest il cielo è abbastanza pulito, mentre da Sud a Est e poi a Nord si vedono diversi cumuli in rapida espansione segno dell’imminente temporale. Facciamo le foto di rito e la foto di gruppo e mangiamo qualcosa velocemente sulla cima. E’ un peccato dover scendere di corsa, da questa cima si gode un bellissimo panorama e la neve che ricopre ancora gran parte delle montagne lo rende ancora più spettacolare.

Iniziamo a scendere e io e Manuela restiamo per ultimi, lei non vuole correre e mi dice se scendiamo più lentamente.

I passi fatti in salita sulle rocce del mont Emilius diventano più difficili da fare in discesa e cerco il più possibile di guidare Manuela su appoggi e appigli più comodi. Scendo prima di lei e dal basso gli indico dove poggiare i piedi e mettere le mani. Lentamente riusciamo a scendere e a vista vedo gli altri più in basso. Ad un tratto non li vedo più, probabilmente hanno accelerato il passo e la discesa si è fatta più semplice. Lungo la discesa troviamo una persona che sta salendo da solo e lo avvertiamo che da sopra si vedevano nuvole minacciose. Poco dopo arriviamo al colle dove troviamo una ragazza da sola, probabilmente era in attesa del tizio incontrato prima. Ci avverte che uno del nostro gruppo si è fatto male ed è caduto per qualche metro. Cerco di mantenere la calma, soprattutto per non trasmetterla a Manuela e cerco di vedere gli altri più in basso. Seguo le tracce sulla neve e mi sporgo verso la via di discesa dal colle e vedo gli altri che mi avvisano che Pierangelo è caduto mentre scendeva e lo stanno scortando verso il rifugio. Mi tranquillizzo e vedendo che tutti camminano con le proprie gambe. Intanto scendo da dove Marco mi ha consigliato e seguo la loro traccia nel nevaio. Manuela è dietro di me, ma dice di non sentirsi sicura a passare dal nevaio per paura di scivolare. La neve è molle e tiene poco, in alcuni punti si sprofonda e bisogna scendere piano per non farsi male tra gli sfasciumi. Per aiutare Manuela gli presto i miei ramponcini da mettere sul tacco degli scarponi, in modo da evitare scivoloni sul nevaio. L’aiuto a calzarli, ma mi sono messo in una posizione precaria con il piede tra due rocce. Una volta che Manuela aveva calzato i ramponi, la faccio alzare e mi giro per proseguire nella discesa. Giro il piede verso valle e nello stesso punto in cui lo avevo appoggiato prima e carico il peso per avanzare, ma ad un tratto sento che la neve sotto di me cede e scivolo con tutta la gamba dentro l’apertura tra due rocce taglienti. Mentre sento la roccia che mi sfrega violentemente la tibia cado all’indietro e per fortuna lo zaino fa da cuscino proteggendomi la schiena. Una volta bloccata la caduta mi rialzo in fretta e tiro fuori la gamba dalla roccia, sento un forte dolore. Alzo il pantalone per controllare cosa mi è successo e vedo un grosso e lungo taglio. Non sanguina molto, per fortuna avevo la calza e la ginocchiera abbassata che mi hanno protetto. Appoggio la gamba con cautela e provo a caricare leggermente il peso per sentire se si muove qualcosa, nel caso ci sia una frattura, ma non sento dolore. Decido di ricominciare a camminare cercando di fare notare il meno possibile l’entità del danno a Manuela per non farla allarmare inutilmente. Dopo pochi passi mi rendo conto che l’osso non sembra rotto e riesco a muovere bene gamba e ginocchio. Lentamente scendiamo e finalmente arriviamo alla base del pendio del colle, dove passando tra residui di piccoli nevai e petraia ci avviciniamo agli altri. La gamba brucia e una volta raggiunto gli altri, mi informo sulle condizioni di Pierangelo, che nel frattempo stava scendendo verso il rifugio. Racconto della mia disavventura e Marco e Maurizio e marco mi presta una pomata cicatrizzante da mettere sulla ferita. Sento che sta per uscire la botta, ma per fortuna non sembra essersi rotto niente. Ci rimettiamo in cammino e dopo poco raggiungo Pierangelo. Lo vedo camminare molto lentamente ed è in mutande, in quanto le escoriazioni che ha su tutto il corpo gli danno fastidio e con i pantaloni non riusciva a camminare. Ci fermiamo e quando si gira vedo che è pieno di graffi ed escoriazioni, ma la cosa che mi colpisce di più è il suo volto sconvolto e stanco. Gli chiedo come si sente e gli dico che forse è meglio chiamare i soccorsi, ma si sente in grado di camminare fino al rifugio. Maurizio mi dice di cominciare a scendere e di avvisare gli altri. Nel frattempo penso che se non si riesce ad arrivare fino alla seggiovia in tempo, rischiamo di farcela a piedi fino a Pila e sicuramente Pierangelo non ce l’avrebbe fatta.

Scendo di corsa al rifugio e ingenuamente chiedo al rifugista se percaso esiste la possibilità di chiamare una jeep che possa recuperare Pierangelo nel caso perda la seggiovia. Il rifugista, giustamente mi fa notare che anche se le ferite sono lievi e riesce a camminare, è sempre meglio chiamare i soccorsi. Sono indeciso, non vorrei chiamare inutilmente l’elicottero, ma nello stesso tempo non sono un medico per decidere se si tratta di una cosa lieve o se sto sottovalutando la situazione. Decido di andare verso il sentiero e superare il piccolo promontorio che separa la conca del rifugio e il vallone che porta all’Emilius per vedere a che punto sono, e nello stesso momento vedo sbucare gli altri assieme a Pierangelo. Insieme lo convinciamo a far venire i soccorsi e così dopo qualche decina di minuti, arriva l’elicottero che carica Pierangelo e lo porta in ospedale. Nel frattempo tutti noi scendiamo verso la seggiovia, mentre i tuoni dell’atteso temporale cominciano a farsi sentire. Per fortuna non facciamo a tempo a bagnarci e una volta arrivati alla seggiovia, arriviamo in pochi minuti a valle alla stazione di Pila. Maurizio e altri vanno giù ad Aosta per raggiungere Pierangelo all’ospedale, mentre io, Manuela, Marco, Vito e Giuseppe torniamo verso casa.

In macchina si parla dell’incidente e comunque tra me e me penso che quanto è successo questa domenica, fortunatamente finita bene, mi è servita molto. Ho imparato molte cose, innanzitutto che i soccorsi vanno chiamati anche se sembra una cosa “di poco conto”. Poi ho anche ho avuto la possibilità di misurare la mia calma e pazienza nell’aiutare chi si trovava in difficoltà maggiori. Una volta arrivato a Pila, mi sono sentito tutta la stanchezza che non avevo avvertito prima. Non era solo stanchezza fisica per aver scalato l’emilius e non aver mangiato niente, ma era anche stanchezza psicologica. Durante il viaggio di ritorno, chiamo Maurizio per sapere di Pierangelo e mi informa che sta bene anche se si è rotto il polso.

Arrivato a casa, esco a mangiare una pizza assieme a Manuela.

06 Luglio 2008 – Rifugio Calvi – Val Brembana.

Gita CAI con viaggio in pullman, finalmente si viaggia rilassanti senza preoccupazione di parcheggio e di dover guidare!! Alle 6.15 passa a prendermi Manuela e in breve siamo alla piazza dove ci aspetta il pullman.

Iniziamo il viaggio del quale non mi sono nemmeno accorto del tempo che passava in quanto io e Manuela abbiamo parlato tutto il tempo. C’è un detto inglese che dice Time flies when you're enjoying it, il tempo vola quando ti diverti; ma credo che sia un detto universale!!

Arriviamo a Carona e il meteo non è per niente bello, verso est ci sono nuvoloni neri e densi, ma anche nelle altre direzioni non è da meno. Ci incamminiamo lo stesso, visto che al momento non piove e comunque non si percorrono creste o colli esposti ai temporali. Poi si arriva comunque ad un rifugio dove nel caso di maltempo ci si può fermare.

Iniziamo a salire, sono io il primo che segna il passo. Il gruppo resta abbastanza omogeneo, anche se il sentiero spesso mi induce al dubbio visti i numerosi bivi che incontro. E’ facilmente intuibile il percorso da seguire, ma ogni tanto fermo il gruppo e vado in avanscoperta per essere più sicuro.

Nonostante le nuvole, l’aria è pesante e ogni passo è una gran sudata, soprattutto nel bosco l’umidità è forte. Risaliamo il sentiero rimanendo sempre nel bosco, guardo indietro verso il gruppo e vedo che sono tutti abbastanza omogenei e mi seguono bene. L’umore resta basso a causa della giornata grigia e afosa, cerco di parlare con le persone che mi stanno dietro per cercare di motivare le persone.

Purtroppo a circa un quarto del percorso comincia a piovere ed è inevitabile la sosta per coprirsi. Ci raggiungono un gruppetto di tre ragazze che anche loro si coprono per la pioggia. Non è piacevole sentire l’afa ed essere obbligati a coprirsi per non bagnarsi del tutto. Oggi ho testato con successo la mia giacca in Goretex, sono riuscito a restare abbastanza asciutto nonostante l’afa e la pioggia. Il sudore veniva ben espulso dal materiale tecnico e constatavo che la spesa ne è veramente valsa la pena.

Continuiamo a salire e dopo circa una mezzora, mi accorgo che il gruppo si è diviso in due ed alcune persone sono rimaste indietro. Decido di fermarmi in modo da ricompattare il gruppo e finalmente anche il meteo ci concede una tregua. Le nuvole sono comunque nere e basse.

Una volta ricompattati continuiamo a salire fino a raggiungere la diga e il lago. Guardando verso il rifugio vediamo le nuvole scurissime e sentiamo tuonare. Affrettiamo il passo per arrivare in rifugio ed evitare quello che da li a poco sarebbe stato un forte temporale e riusciamo ad arrivare tutti senza farci la “doccia”.

Il rifugio è pieno di gente, oltre noi c’è un gruppo del CAI giovanile e riusciamo ad occupare appena un paio di tavoli per alcuni di noi. Ordiniamo un piatto di polenta con il formaggio che guastiamo alla grande; è molto buono e non mi dispiacerebbe fare un bel bis, ma do un occhio al portafoglio e preferisco lasciar perdere e mangiare una fetta di torta.

Intanto fuori piove fortissimo e la voglia di uscire e ridiscendere a valle con l’acqua che viene, fa passare la voglia di lasciare il rifugio.

Finiamo di mangiare e per fortuna nel momento che usciamo la pioggia ci ha dato una tregua, ma giusto il momento di uscire e radunarci tutti per scendere, che ricomincia a piovere più forte. Finisco di scattare le foto vicino al rifugio e ne faccio una insieme a Manuela, ma poi sento che le goccie diventano sempre più grosse e la pioggia aumenta. Cominciamo a scendere e io e Manuela siamo quelli che chiudono la fila, la pioggia si trasforma in diluvio. Passa meno di un minuto che il forte acquazzone ha trasformato parte della strada carrozzabile in un vero e proprio ruscello. La mia giacca in goretex tiene benissimo l’acqua e non mi sento sudare molto, ma la forte lavata mi ha letteralmente bagnato i pantaloni facendo filtrare l’acqua anche dentro gli scarponi che sono zuppi dopo pochi minuti. Il cielo è nero su tutti i fronti e spesso ci sono lampi e forti tuoni. Sono un po’ spaventato per i lampi, ma ormai siamo sul percorso e ci tocca correre verso valle. Per fortuna la forte pioggia si attenua e a circa metà percorso tende a smettere. I miei pantaloni si asciugano in fretta e restano solo gli scarponi completamente inzuppati.

Arrivati a Carona, mi compro un paio di calze per cambiarmi e mi risistemo un attimo, i pantaloni sono un po’ umidi, ma per fortuna sono asciutto.

Saliamo sul pullman e ritorniamo a casa. La sera io e Manuela siamo stati assieme, sto davvero bene con lei.

13 Luglio 2008 – Rothorn – Valle di Gressoney

Giornata ancora brutta dal punto di vista meteorologico. Sono d’accordo con Manuela che sarei andato a trovarla a Gressoney e avremmo fatto una salita assieme ai suoi amici di Milano e di Monaco di Baviera. Con me si aggrega anche Gianfranco che passo a prendere alle 6.00 a casa sua. Partiamo e per le 7.45 siamo a Gressoney, dove ci aspetta appunto Manuela insieme ai suoi amici. Facciamo una colazione veloce al bar, mentre inizia a piovere. L’idea è quella di arrivare al Rothorn, ma visto il meteo dubitavamo fin dall’inizio che saremo riusciti a salire.

Ci incamminiamo dopo qualche titubanza sull’attacco del sentiero, che vista la scarsità delle indicazioni risulta difficile da trovare. Finalmente troviamo un bollino che indica il numero 10 del sentiero che seguiamo fedelmente. Entriamo nel bosco con un bel sentiero ripido, che abbinata alla giornata umida, ci fa sudare fin da subito. Per fortuna ha smesso di piovere e il cielo tende ad aprirsi lasciando il posto a qualche occhiata di sole. Saliamo con un passo piuttosto lento, visto e considerato che ci aspettano 1500 metri di salita. La valle di Gressoney è molto bella, ma anche molto stretta e ripida, e per risalire le montagne ai suoi lati bisogna sudare e sgambare per bene.

Faccio intanto amicizia con i nostri ospiti tedeschi e noto con piacere che parlano bene l’italiano, anzi forse meglio di me, visto che conoscono i nomi dei fiori anche nella nostra lingua. Sono dei montanari accaniti come me e hanno una buona gamba tenendo il passo. Insieme a me c’è Manuela che anche lei tiene un buon passo, ma gli consiglio di non strafare per non stancarsi subito. A lei gli aspetta anche una settimana sui ghiacciai del rosa. Beata lei …. Io sarò a lavorare pensando a lei!!

Arriviamo ad un bivio, dove prendiamo il sentiero di destra. La vegetazione diventa più alta e fitta, con molta probabilità non passa gente da diverso tempo e in aggiunta le frequenti piogge di questa estate bagnata hanno contribuito a far crescere in maniera notevole il sottobosco.

Se fossi stato da solo, non sarei mai passato da quel sentiero, troppa vegetazione e la mia paura dei serpenti mi fa desistere dal percorrerlo. Facciamo fatica a passare e spesso le ortiche ci pizzicano le braccia, tra l’altro il dislivello da fare in queste condizioni è di circa 400 metri e quindi per più di un’ora ne abbiamo da penare.

Dopo il supplizio della vegetazione arriviamo finalmente al termine del bosco e raggiungiamo i verdi pendii del versante est del Testa Grigia. Il meteo sembra tenere e spesso si vedono dei bei spiazzi di cielo azzurro, il morale è alto visto la giornata partita male. Raggiungiamo un alpeggio abbandonato dove sostiamo qualche minuto e facciamo qualche foto.

Si riparte, io non mi sento molto bene, e faccio molta fatica, nei giorni scorsi ho dormito poco e ne sto pagando le conseguenze. Mi gira la testa e mi sento debole, mentre risaliamo cerco di non pensare alla stanchezza, ma spesso sento il bisogno di fermarmi per riprendere fiato. Arriviamo nel tratto che porta alla piccola piana sotto le cime del Rothorn e del Testa Grigia, dove dobbiamo superare un breve tratto attrezzato con la corda fissa.  Anche Manuela mi dice che si sente affaticata e per fortuna superato il tratto attrezzato decidiamo tutti di fare una pausa. Ne approfitto per mangiare qualcosa e riposare un attimo.

Dopo qualche minuto ripartiamo e per fortuna mi ritornano le forze, molto probabilmente c’era anche una buona componente di denutrizione. In ogni caso non sono nella forma solita e intanto penso che dovrò riposare e rilassarmi per qualche giorno per non debilitarmi troppo. Ultimamente ho fatto parecchia attività che aggiunta al lavoro e allo stress, mi hanno affaticato parecchio.

Intanto il meteo peggiora di nuovo, le nuvole coprono le cime del Rothorn e del Testa Grigia e ci accingiamo ad andare verso il piccolo Rothorn. La nebbia scende in fretta e facciamo fatica a trovare il percorso giusto, alcuni rimangono indietro e poi decidono di fare dietro front. Noi invece proseguiamo, Gianfranco è già avanti con gli altri, io invece resto con Manuela. Superiamo lo sfasciume sotto la cima del rothorn, fino ad arrivare al pendio che ci porta in cima.

Siamo titubanti sul salire fino in cima, il meteo sta peggiorando e la roccia è molto scivolosa, ma siamo anche a meno di 100 metri dalla cima e in meno di 30 minuti possiamo essere in cima. Decidiamo di tentare lo stesso e cominciamo a salire. Gianfranco parte insieme ad altri, mentre io, Manu e una coppia di suoi amici saliamo con più calma. Manu mi accenna che è un po’ stanca, ma gli dico che ormai siamo ad un passo dalla vetta e che è un peccato fermarsi qui. Dopo un po’ di titubanza si prende d’animo e riparte, affrontiamo il primo tratto di cresta rocciosa, poco esposta, ma la roccia è scivolosa e bisogna procedere cauti. Raggiunta la base della piccola paretina nord-est ci accingiamo a risalirla, ci sono diversi risalti rocciosi facili, quando arriviamo alla base di un camino inizio a salire per primo. La roccia non mi piace è troppo scivolosa e anche se sono passaggi banali, presto molta attenzione. Nel momento che supero il camino e sto per invitare Manuela e gli altri a salire, inizia a piovere molto forte: Scende acqua mista a neve e piccola grandine, ma per lo più sono piccole palline di ghiaccio. Dall’alto mi sento dire da Gianfranco che loro stanno per scendere in quanto più su e troppo scivoloso. Avviso anche i miei compagni sotto di me e scendo dal camino cercando il punto più facile e meno scivoloso. Li raggiungo lentamente e con prudenza scendiamo dalla cima rocciosa del Rothorn. Per meno di 50 metri abbiamo rinunciato alla cima, ma sinceramente non ne valeva la pena di rischiare di cadere per raggiungere una vetta da dove non si vedeva niente a causa della nebbia.

Una volta riuniti riprendiamo il cammino verso valle, il meteo si calma, ma e tutto coperto, solo verso sud-ovest si intravede una speranza di qualche occhiata di sole. Raggiungiamo prima l’alpeggio e poi entriamo nel bosco percorrendo il ripido e scivoloso sentiero in mezzo alla vegetazione. Le mie ginocchia reggono abbastanza bene e non mi fanno male, ho solo una vaga sensazione di stanchezza che si è alleviata mangiando qualcosa.

Arriviamo a Gressoney e una volta riuniti tutti ci avviamo alle macchine e ci salutiamo. Io e Gianfranco torniamo a casa, mentre Manuela e i suoi amici restano a Gressoney. Il giorno dopo dovranno salire al Rifugio Gnifetti per prepararsi alla settimana sui ghiacci del Monte Rosa.

19 Luglio 2008 – Saint Jacques – Rifugio Guide di Ayas

Questo fine settimana c’èra in programma l’ultima gita Alpinistica della mia sezione CAI, la meta è la cima del Polluce a 4.091 m. Mi trovo con Manuela sotto casa mia e dopo pochi minuti passa a prenderci Maurizio e ci dirigiamo a Saint Jacques in Val d’Ayas. Il meteo in pianura non è molto bello e sopra di noi ci sono un po’ di nuvole. Raggiungiamo il piccolo paese in testa alla valle e dopo qualche peripezia per trovare un posto per le nostre macchine ci prepariamo per affrontare la salita al rifugio. Non può mancare la colazione al bar, anche per ricaricarci un pochino, visto che la salita al rifugio è piuttosto lunga. Ci organizziamo per le corde e finalmente ci avviamo lungo il sentiero. Il sole splende e la giornata è tersa al contrario di quando siamo partiti, gli zaini sono pesanti e il nostro passo molto lento. Non siamo stanchi ma vogliamo risparmiare il più possibile le energie per la giornata e per la salita del giorno dopo. Piano piano raggiungiamo il pian di Verra inferiore e finalmente davanti a noi appaiono le cime del Castore e della nostra meta il Polluce. Il cielo è sempre azzurro con una visibilità ottima. Qui sostiamo qualche minuto per qualche foto e per riprendere fiato e poi sempre con molta calma ripartiamo. Percorriamo ora la carrozzabile che ci porta al pian di Verra superiore, ma per evitare di farci chilometri inutili, prendiamo i sentierini più diretti che tagliano parte della strada. Troviamo diversa gente lungo il sentiero che ci guardano curiosi. Sono gli stessi sguardi che avevamo io e mio padre quando frequentavamo la valle e vedevamo gli alpinisti diretti al Mezzalama. Quando ero più piccolo vedevo queste cime come irraggiungibili ed ero curioso di vedere che mondo c’èra a quelle quote. Ora sono in cammino verso quella cima che mi ha sempre affascinato e incuriosito. Il morale è alto e con me sale Manuela che nonostante si sia fatta già una settimana di salite in alta quota, marcia bene. Arriviamo al bivio con il sentiero per il Rifugio Mezzalama e anche qui ci facciamo una breve pausa, il sentiero che ci aspetta è piuttosto ripido ed è tutto sotto il sole. Ripartiamo e lo zaino comincia a pesare, sopra di noi ancora 1000 metri da salire, ma cerco di non pensare al dislivello e penso solo alla salita del giorno dopo, alla mia vittoria contro ciò che consideravo impossibile. Il sole picchia sul collo e sulle braccia e non vedo l’ora di arrivare al primo rifugio per dissetarmi e mangiare qualcosa.

Finalmente dopo un bel po’ di tempo sotto il sole cocente arriviamo al rifugio Mezzalama. Dal rifugio la vista spazia su tutta la valle e sulle cime a sud est della Valle d’Aosta. Notiamo che in valle centrale e verso la pianura si vedono molte nubi e anche verso la val d’Ayas qualche nuvoletta sta arrivando. Lo stesso notiamo verso le cime del Monte Rosa che cominciano a coprirsi di nuvole. Lo spiazzo davanti al rifugio è pieno di gente e sento chiamarmi dalla parte opposta. E’ Maurizio che mi dice che c’è gente di Abbiategrasso, lo raggiungo e finalmente conosco il webmaster di Monterosa4000 che è un mio concittadino. Fa piacere conosce altri appassionati di montagna che sacrificano il tempo libero scrivendo pagine sul web per cercare di diffondere la cultura dell’andare per monti.

Facciamo la nostra meritata pausa e dopo mangiato riprendiamo il nostro cammino verso il rifugio Guide d’Ayas. Passiamo gli sfasciumi e le piccole balze di roccia per sbucare nel grosso nevaio sotto le roccie del Lambronecca. Attraversiamo il nevaio con fatica, è ormai pomeriggio e la neve è molle e scivolosa. Saliamo il pendio che ci porta sulla tratta finale rocciosa. Ogni tanto mi giro e guardo verso valle, è uno spettacolo. Il cielo sopra è azzurro con alcune velatura, mentre nel fondovalle e sulle pianure ci sono nuvole basse; sopra di noi invece alcuni nuvoloni coprono le cime mentre dai seracchi sottostanti la Gobba di Rollin si sentono continue scariche di ghiaccio, è il ghiacciaio che lentamente muore e si trasforma in torrente. È bello sentire e vedere tutto ciò, si capisce come è forte la natura.

Arriviamo alle rocce del Lambronecca e il tratto da salire è ben attrezzato, ci sono passarelle in legno, gradini e corde a modi corrimano. In pratica hanno costruito una scalinata che porta al rifugio. In poco tempo arriviamo al rifugio e finalmente mi posso riposare.

Parlo con il rifugista che ci sistema in una camerona tutti assieme; comincio a preparare la mia attrezzatura per il giorno dopo e sistemo il mio letto. Manuela fa altrettanto e si sistema in fianco a me.

Il pomeriggio passa poi tra un po’ di riposo e qualche chiacchierata tutti assieme. Facciamo il punto della situazione e ci organizziamo con le cordate.

A cena ci raduniamo e dopo aver mangiato e goduto un po’ del panorama che spazia dal rifugio ce ne andiamo a dormire. Il giorno dopo ci aspetta una bella ma faticosa salita.

20 Luglio 2008 – Polluce – Monte Rosa

Al mattino alle 4.00 ci alziamo, io non ho chiuso occhio, il Polluce so che non è la classica salitella facile su ghiacciaio e un po’ mi preoccupa. Poi di solito in rifugio non dormo mai percui era scontata la notte bianca!!!! Mentre gli altri miei compagni hanno dormito come ghiri, beati loro!!

Mi alzo completamente rintronato, mi lavo la faccia una decina di volte con l’acqua ghiacciata, le lenti a contatto le ho dovute incollare con il Bostick e poi subito colazione con abbondante caffè e The, mi sono praticamente bombato di caffeina e teina!!!

Mi preparo e ci mettiamo fuori pronti per legarci in cordata. Io e Manuela siamo in cordate separate. Ho preferito lasciarla in cordata con gente più esperta di me, in quanto se mi trovavo in difficoltà il pensiero di averla con me in cordata mi avrebbe potuto bloccare.

Io sono secondo in cordata, davanti a me un ragazzo fresco di corso fatto a Milano, che mi raccontava che era più una scuola militare!!! Quindi gli ho detto bene, visto che hai fatto un corso severo, lo fai tu il capocordata, così mi istruisci bene!! Partiamo siamo in tre in cordata, dietro di me un ragazzo che non conosce nessuna manovra e per nostra decisione, un po’ contro le regole delle scuole di alpinismo lo abbiamo messo per ultimo. Più che altro per il tratto attrezzato era meglio che gli facessi sicura io.

Partiamo di buon passo, anche se la colazione per la prima mezzora pesava come un macigno.

In poco meno di 1.30 siamo sotto il polluce pronti ad attaccare il canalino di 40°. Dico solo una cosa… una goduria…. Alla fine preso dall’entusiasmo ho cominciato ad usare la picozza come fa Messner nella pubblicita, anche se non serviva a molto in quanto la pendenza non lo richiedeva. Ma volevo gasarmi!!!

Arriviamo alle rocce e faccio fatica e sono un po’ timoroso, non ho mai usato i ramponi sulla roccia e sono un po’ impacciato. Mentre saliamo cerchiamo di far passare la corda tra le rocce in modo da avere un bloccaggio in caso di scivolata. E’ la prima volta che affronto il misto e anche sa a volte fa un po’ paura, mi piace passare dal ghiaccio alla roccia. Il ragazzo dietro di me anche lui non si sentiva molto sicuro e ad ogni posizione mia comoda, gli facevo una sicura a spalla con la corda, così l’ho aiutato a salire. Arriviamo al tratto attrezzato e siccome siamo in 20 c’èra da aspettare un po’ tanto!!! Da dietro arrivavano altre persone.

E’ il nostro turno Roberto il capocordata sale, fa fatica anche lui con i ramponi e cerco di fargli sicura , ma purtroppo nel primo tratto non ci sono punti per mettere un moschettone, per fortuna che con la longe si auto assicura e riesce a passare il traverso con qualche piccolo scivolone che mi ha fatto balzare il cuore nelle narici!! Tocca a me e visto che dove si trova roberto c’è un buon ancoraggio gli chiedo di farmi sicura con un mezzo barcaiolo. Lo supero senza problemi e intanto prendo confidenza con gli attrezzi. Arrivo e faccio a mia volta sicura al mio compagno dietro. Siamo affiatati e collaborativi e così superiamo tutti i passaggi su roccia. L’ultimo quello più verticale è stato quello che mi è riuscito meglio, in quanto avevo più confidenza con i ramponi e la catena l’ho usata meno (con una mano) utilizzando anche gli appigli sulla roccia. Intanto una persona molto simpatica dietro di noi ci incita a muoverci che devono passare. A me queste cose fanno imbestialire e già sotto pressione per la salita e la responsabilità delle persone che ci sono con me mi fanno sbottare con la frase” Ci muoviamo quando riteniamo di volerci muovere, se avevate fretta partivate prima di noi, ci avete visto che siamo in 20 percui con calma arriviamo tutti”. Soprattutto quando ci sono persone in difficoltà è sbagliatissimo trattare così le persone. Dietro la mia cordata c’erano altri due dei nostri che avevano qualche problema, sia fisico che di progressione e cercavo di dare anche loro un aiuto, per lo meno morale.

Finalmente arriviamo alla fine della parte di roccia e dopo qualche piccolo gradino siamo all’anticima del Polluce, dove la statua dell Madonnina ci accoglie sorridente. Qui  comincia il magone, non ci posso credere che sono quasi in cima alla vetta che ho sempre ammirato da quando ero piccolo. Per me era irraggiungibile e oggi ero li ad un passo dalla vetta. Ci incamminiamo con più serenità lungo la bella cresta nevosa e facciamo gli ultimi 80 – 100 metri di salita e ci siamo. Sto calpestando la cima del Polluce e l’emozione è a mille. Tempo spettacolare, cime bellissime e alle 8.40 siamo in vetta dopo tre ore di fatica. Sono ripagato e super soddisfatto. Il vento era forte e sentivo un freddo bestia, ma non posso rinunciare a gustarmi la vetta. La cima del Castore di fronte a me è una delle mete delle prossime settimane. E’ molto bella e non vedo l’ora di salirci sopra. Scatto un po’ di foto e facciamo una foto assieme ai miei compagni di cordata. Purtroppo il tempo stringe e vediamo che da lontano le nubi si stanno addensando. Inoltre è sempre preferibile scendere dal ghiacciaio prima di mezzogiorno per evitare di pestare neve marcia. Scendiamo dunque di nuovo all’anticima e una volta riuniti con le altre cordate decidiamo di scendere per la parete ovest. Il tratto attrezzato era pieno di gente e quindi sarebbe stato un calvario scendere da li. Ci incamminiamo e ci immettiamo nella ripida parete ovest. Uno scivolone di 150 metri a 40°, un passo dopo l’altro le mie ginocchia mi ringraziavano per la cattiveria. Faccio fatica e scendo goffamente, per paura di caricare troppo le ginocchia. Ma piano piano riesco a scendere senza nemmeno scivolare. Anche perché se lo facevo arrivavo prima di tutti!!!! A pezzi però!!! Per quel poco che riesco mi giro indietro a guardare ciò che ho appena salito e continuo ad essere soddisfatto per la bellissima giornata.

Arriviamo sotto la parete ovest e ci riuniamo tutti, soddisfatti e contenti, faccio altre foto e nello stesso tempo cerco di memorizzare dove passano le tracce. Il tempo comincia a peggiorare e cerchiamo di scendere velocemente verso il Guide d’Ayas.

Una volta giunti al rifugio ci liberiamo da corde, imbraghi e ramponi e rimettiamo in sesto i nostri zaini. Le nuvole piano piano cominciano a coprire la cima del Castore. Una volta sistemato io e Manuela cominciamo a scendere per raggiungere il Rifugio Mezzalama per mangiare qualcosa.

Arriviamo al rifugio e ci sediamo per mangiare, io ordino una polenta con salsiccia è buona ma è davvero tanta e non mi va di riempire lo stomaco. Mi aspettano ancora 1.200 metri di discesa.

Finito di mangiare ci rimettiamo in cammino e lentamente scendiamo verso valle, mentre incontriamo alcune persone che salgono verso i rifugi. In questo periodo è impossibile fare salite in solitudine e tranquillità, nemmeno durante la settimana.

Arriviamo alla strada carrabile e troviamo altra gente che è appena stata sul Polluce, loro aspettano la Jeep per scendere, mentre noi decidiamo di proseguire a piedi. La vera soddisfazione di fare una cima è anche quella di averla fatta per intero con le proprie gambe. Come è ormai una costante di questa estate sfortunata inizia a piovere e ci tocca mettere le giacche a vento per non bagnarci. Per fortuna non piove forte e dopo poco smette. Contenti e super stanchi scendiamo con le nostre gambe fino a saint Jacuqes, Manuela lungo il sentiero fa una scivolata e picchia il ginocchio, ma per fortuna solo una piccola botta. Arriviamo finalmente a Saint Jacques dove ci sediamo in macchina e torniamo alle nostre case.

Sono molto soddisfatto della salita, a mio modo ho superato un’altra prova sia di impegno fisico, soprattutto dopo una notte insonne, che a livello tecnico e di sicurezza per me e per i miei compagni.

Mi faccio gli applausi da solo!!

Un ringraziamento ai miei compagni di cordata per essere stati collaborativi e soprattutto bravissimi. Un saluto speciale a Manuela che dopo una settimana sul rosa si e fatta un’altra sfaticata immane per venire su con me. Non lo dimenticherò mai!

27 Luglio 2008 – Monte Zerbion

E sono di nuovo tornato in Val d’Ayas, con Manuela abbiamo deciso di fare un fine settimana da turisti in montagna e siamo andati Sabato in agriturismo dove abbiamo mangiato piatti locali della Valle d’Aosta. La Domenica, un po’ a fatica ci alziamo e prepariamo le nostre cose, non sappiamo ancora bene cosa fare. Non sappiamo nemmeno se andiamo a fare una breve escursione o ci facciamo un giro per i paesini della valle. Mentre mi stavo lavando mi viene un piccolo lampo di genio e propongo il Monte Zerbion. Diciamo che come passeggiata rilassante è forse un pochino esagerato, ma se fatto senza correre e senza la pretesa di arrivare a tutti i costi in cima può essere rilassante. Poi personalmente lo trovo molto più rilassante di restare sdraiato a prendere il sole, anche se c’è comunque uno sforzo fisico.

Lasciamo l’agriturismo nei pressi di Brusson e ci dirigiamo ad Antagnod dove facciamo un po’ di spesa per la giornata. Arriviamo a Barmasc, ma già sulle cime delle montagne cominciano ad arrivare le prime nubi scure. Sapevo che le previsioni davano una giornata bella al mattino, ma brutta al pomeriggio. Non curanti delle nuvole saliamo, facciamo fatica non perché non siamo allenati, ma perché la sera prima ci siamo fatti una bella cena pesante e siamo andati a dormire tardi. Come si dice: La sera leoni, la mattina ……..

Decidiamo di arrivare al Col Portola e di salire all’anticima dello Zerbion, per lo meno andiamo a firmare il libro posto sotto la croce. Dall’anticima alla cima vera e propria ci sono ancora circa 30 – 40 minuti di cammino, ma Manuela non voleva salire e preferiva stare sul prato a rilassarsi. In effetti non era in programma una escursione vera e propria, visto che si era deciso di fare i turisti. Restiamo per un po’ sull’anticima a guardare il panorama dall’alto e a parlare di cime e programmi per l’estate, poi quando il tempo diventa più minaccioso decidiamo di cominciare a scendere.

Arriviamo nei pressi del Pian delle Dame e ci sistemiamo sopra un masso piatto per mangiare e goderci un po’ di sano riposo. Quasi ci appisoliamo quando sentiamo qualche goccia di pioggia e purtroppo ci dobbiamo affrettare a scendere prima di prenderci una lavata. Te pareva, non passa domenica senza pioggia.

Mentre scendiamo ricevo il messaggio di Marco di Biella che mi chiede se andiamo a berci una birra a Champoluc e così dopo che ci siamo cambiati e rimessi in civile, ci incontriamo. Faccio conoscenza di una ragazza di un forum su internet con la quale ci siamo scambiati qualche post. Internet è veramente una potenza per noi montanari, essendo in pochi e sparsi in questo modo ci si conosce tutti.

L’ora comincia ad essere tarda e ci salutiamo, scendiamo verso valle e decidiamo di fermarci a mangiare in bassa valle prima di tornarcene a casa.

02 Agosto 2008 – Rifugio Mantova - Monte Rosa

Sabato mattino, mi alzo e corro a lavorare, sono contento il pomeriggio parto per il Rifugio Mantova e il giorno dopo mi aspetta l’ascensione alla punta Gnifetti. A mezzogiorno finisco e corro a casa, mangio un panino, mi preparo in fretta e furia, mentre Marco di Lainate mi raggiunge a casa. Bevo un caffè e partiamo di corsa per la Valle di Gressoney, in poco più di un’ora e mezza siamo a staffal dove Marco e Federico di Biella ci aspettano nel parcheggio della funivia. Siamo tutti gasati e contenti, la giornata è stupenda, cielo terso e azzurro, sole caldo. La tipica giornata estiva dei sogni!!!

Ci mettiamo gli scarponi e ci carichiamo i pesanti zaini sulle spalle e andiamo a fare il biglietto della funivia. La bella notizia è il costo, ben 25 euro per il biglietto di andata e ritorno, ma per quello che sto per andare a fare e l’attesa per ben due anni, avrei pagato anche di più!

Saliamo in cabina e facciamo il primo tronco, poi arrivati al Gabiet e dopo un’attesa di circa 20 minuti per problemi alla funivia prendiamo l’ovovia che ci porta al Passo dei Salati. Salire di colpo con la funivia così in alto non mi è mai piaciuto e difatti appena inizio a camminare sento le gambe pesanti e mi gira la testa. Ho addosso comunque la stanchezza della mattinata lavorativa e l’aver fatto tutto di corsa per arrivare il più presto possibile fino a qui. Ora comincia il cammino, ad una quota oltre i 3000 metri dove il fiato comincia a mancare. Per fortuna dopo circa mezz’ora di cammino il mio fisico si abitua e riesco a superare questa piccola crisi. Mi aiuta molto il morale alto per la salita che sto per affrontare.

Passiamo il primo tratto abbastanza ripido che ci porta alla base sud-est dello Solenberg , qui inizia il tratto più faticoso dell’intero avvicinamento, si passano delle roccette aiutati dai canaponi, ma ora siamo abbastanza accliamatati, sia per la quota e sia per lo sforzo e risaliamo senza grossi problemi. Traversiamo sotto la cima rocciosa e lungo il tragitto troviamo diverse persone che tornano dai ghiacciai. Si riconoscono subito le facce delle persone che sono state sulle cime del Monte Rosa; sono facce stanche e bruciate dal sole, ma con un sorriso grande e gli occhi che brillano ancora di felicità. Quando si è al cospetto di simili alture e montagne, non si può non essere felici.

Arriviamo al punto culminante del traverso e ci tocca scendere di qualche decina di metri, sempre su percorso attrezzato. Scesi a ovest dello Stolemberg si risale dritti verso Punta Indren per piccoli sfasciumi. Qui ci vestiamo un attimo, le solite nuvole pomeridiane oscurano il sole e il freddo inizia a farsi sentire. Dalla Val Sesia arrivano le solite nuvole umide che coprono il profilo delle creste a confine con la valle, creando delle fumate suggestive. Riprendiamo il cammino e ci immettiamo nell’ormai ridotto a nevaio, ghiacciaio di Indren. Qui la neve è molle e spesso si sprofonda nei rivoli di acqua che si formano sul ghiaccio sottostante. Per fortuna che gli scarponi moderni uniti alle ghette sono ben impermeabili e rimango ben asciutto. Attraversato il ghiacciaio arriviamo alla bastionata rocciosa sottostante il Rifugio Mantova e Il Rifugio Gnifetti. Qui incontriamo una guida alpina di conoscenza dei due Marco.

Riprendiamo il cammino e decido di salire per il tratto attrezzato che porta poco più sopra il Rifugio Mantova, ma che in salita risulta più divertente.

La quota si sente per bene salendo lungo il tratto verticale della bastionata rocciosa, ma per fortuna è breve ed in poco tempo siamo sul ghiacciaio del rifugio Gnifetti. Qui scendiamo di qualche decina di metri e raggiungiamo il rifugio. Le nuvole coprono ancora le cime, ma è pomeriggio inoltrato ed è normale che ci siano.

Prendiamo posto in rifugio e ci sistemiamo nella cameretta che ci hanno assegnato; la numero 3. C’è molta gente in rifugio e per la cena siamo al secondo turno. Perdiamo tempo parlando e facendo battute. Il morale è sempre alto e non vediamo l’ora che arrivi domani. Nel frattempo le nuvole si ritirano e lasciano posto al cielo limpido con una visuale quasi perfetta della pianura e delle cime circostanti. Parliamo con altri alpinisti e ci scambiamo idee, percorsi. Molto sono esperti e ci raccontano di salite ben più impegnative e tecniche, noi restiamo nelle nostre vie normali, più “tranquille e sicure”. Ma la voglia di fare salite più impegnative e soddisfacenti è molta.

Finalmente arriva l’ora di cena e ci sediamo a mangiare, la quota comincia a fare sentire i suoi lievi effetti, ma dopo aver mangiato e bevuto acqua a volontà, riprendo le forze e mi passa la pesantezza su tutto il corpo. Dopo cena ritorniamo fuori a fare qualche foto al tramonto e nel frattempo facciamo passare il tempo per la digestione.

Alle 21.30 andiamo a “dormire”, anche se so che non sarà una notte riposante.

03 Agosto 2008 – Punta Gnifetti – Monte Rosa

La notte è passata quasi tutta insonne, forse un paio d’ore sono riuscito a dormire. Mi sono alzato per fare un bisognino e la notte era super stellata, il giorno dopo sarebbe stato con un meteo fantastico.

Ci svegliamo alle 4.00 e ancora assonnati ci prepariamo e scendiamo a fare colazione. Nonostante la notte non è stata super riposante, mi sento abbastanza bene e sono eccitatissimo. La Punta Gnifetti mi sta aspettando, la cima che ho sempre desiderato salire sta per essere accarezzata dai miei piedi. Finalmente salgo su quella montagna che ho sempre visto nelle giornate terse da casa. Da li sono curioso di vedere come si vede casa mia e l’Italia, da una delle cime più alte dell’Europa.

Vado in bagno, mi preparo  e metto le lenti a contatto. Usciamo dal rifugio e cominciamo a legarci in cordata. Siamo in 4 e ci leghiamo tutti assieme, come capo cordata sono io. E’ la mia prima esperienza di capo cordata e la cosa mi rende felice, ma preoccupato nello stesso momento. Sono io che porto gli altri, se sbaglio o finisco in un crepaccio, devo affidarmi alle mie forze e alla speranza che chi mi precede mi trattiene la caduta. Comunque so che è un percorso facile e i crepacci sono visibili e mi rassicuro.

Io sono davanti, poi c’è Federico, Marco di Biella e Marco di Lainate per ultimo, anche lui conosce qualche manovra di corda, percui siamo abbastanza ben allineati e distribuiti. Siamo un po’ lenti a prepararci e partiamo praticamente per ultimi. Questo è anche un bene visto che non avendo mai fatto il percorso mi accodo alle altre cordate.

Partiamo, il passo è buono, ma sento le gambe pesanti. Sono cotto e ho bisogno di farmi un po’ di giorni di riposo dal lavoro, dalla montagna faticosa e dallo stress in generale. Ci sarà tempo anche per quello, per ora voglio arrivare in cima.

Proseguiamo e superiamo il Rifugio Gnifetti, qui inizia la zona crepacciata, ma la neve è abbastanza dura e compatta e i crepacci sono tutti chiusi o facilmente superabili. Nel frattempo sento la stanchezza e pesantezza che avevo prima attenuarsi e inizio a prendere un buon ritmo di salita. Federico dietro di me fa fatica, è il suo primo 4000 e non è ancora ben acclimatato, ma riesce a stare al nostro passo. Raggiungiamo molte altre cordate e le superiamo. Sopra il rifugio Gnifetti c’è il delirio, non ho mai visto così tante persone su un ghiacciaio, arrivavano da tutte le direzioni evitando i crepacci che trovavano davanti al loro percorso.

Superiamo la base della Piramide Vincent e finalmente si apre il panorama, siamo ormai vicini i 4000 metri e le pendenze si fanno molto più dolci. Qui si vedono tutte le cime, Il Balmerhorn, la Ludwigshohe, La Parrot, mentre dalla parte opposta i Liskamm la fanno da padroni con le loro belle e affilatissime creste. Vedo alcune cordate che li stanno cavalcando e mi piacerebbe essere li con loro. Mi piaciono le creste lunghe perché sono panoramiche e danno l’idea di salire diretti fino in cima. Federico boccheggia, ma ha ancora parecchie energie, si vede che è felice e vuole arrivare in cima anche lui. Ogni tanto ci fermiamo a prendere fiato, anche perché la quota si fa sentire e anche la mia testa comincia a soffrirla. Un’altra paura che avevo era quella di stare male in quota, ma per fortuna avevo solo un po’ di mal di testa.

Procediamo verso il colle del Lys, mentre incrociamo le prime persone che scendono. Ogni tanto si vede sbucare dal ghiacciaio una tenda, sono molte le persone che bivaccano sul ghiacciaio soprattutto chi deve affrontare salite impegnative si porta il più vicino possibile alle pareti.

Finalmente arriviamo al Colle del Lys e le sagome inconfondibili della Punta Gnifetti e della Zumstein sono inconfondibili. Viste da questo versante sono molto diverse da quello di casa. Ci fermiamo ad un grosso spiazzo sul colle e mangiucchiamo qualcosa. Siamo a quota 4200 circa e la testa comincia a fare un po’ male, ma è piuttosto sopportabile. Non bevo molto e questo è un errore, ma ho paura di bere l’acqua fredda e di fare una congestione. Ripartiamo di buon passo e ci accingiamo a scendere di qualche decina di metri per poi prendere il pendio che ci porta al Colle Gnifetti. Sono le ultime fatiche e siamo contentissimi, sia per essere ormai quasi arrivati e sia per la bellissima giornata tersa. Scatto un sacco di fotografie, il Cervino è davvero bello da questa posizione, così come il mio amato Monte Zerbion in Val d’Ayas si vede nella sua completezza. Riprendiamo il cammino e ogni tanto facciamo piccole pause per riprendere fiato, la quota si fa sentire sempre di più mano a mano che saliamo e dobbiamo cercare di salire più lentamente per acclimatarci al meglio. Sono oltre 1000 metri di dislivello e siamo oltre i 4000 metri percui non bisogna fare troppi strappi.

Superiamo le crepacce terminali sotto il colle Gnifetti e giungiamo all’ultimo pendio che ci porta in cima. La salita è ripida e ci concediamo un’altra piccola pausa per lo sprint finale. La testa fa male e non vedo l’ora di arrivare in cima per bermi un buon the caldo al rifugio più alto d’Europa.

Ripreso il fiato, ripartiamo e con ormai la certezza di arrivare in cima saliamo contenti e di buon passo. Dopo pochi minuti di cammino siamo in cima e finalmente poggio i miei piedi sul Monte Rosa. Sono sulla montagna che ho sempre ammirato e desiderato salire, sono emozionato e a stento trattengo le lacrime. Penso a tutte le volte che ho cercato dei compagni di cordata o persone che mi portassero lassù, a tutte le volte che lo vedevo da casa nelle giornate terse, a quelle volte che salendo sulle varie cime delle Alpi occidentali l’ho visto dalle varie angolazioni. Ora sono qui, ho il magone, vedo ogni singola cima, colle e roccia di questa magnifica montagna. Scatto diverse fotografie al panorama, alle cime alla capanna. Vedo molto bene la pianura, con i laghi Maggiore e di Como, sotto la parete est si vede l’impressionante e selvaggia cresta Signal, che nello stesso tempo è anche molto elegante. Il vento soffia forte, ma la temperatura, nonostante la quota, è gradevole. Mi tolgo corda e ramponi ed entriamo dentro il rifugio.

I locali del rifugio sono ben tenuti, sembra davvero una struttura alberghiera: tutto rivestito in legno, cucina ben fornita e tappeto rosso sulle scale che portano alle camerate. Ci sono numerose targhe di chi ha contribuito alla costruzione di questo rifugio ed è doveroso scattare una foto, vicino alla targa del rifugio con la quota.

Dopo la prima sessione di foto ricordo, ci sediamo al tavolo per berci il the caldo di vetta. La testa continua a far male, come se avessi la febbre e dentro il rifugio fa piuttosto caldo. Mi siedo e cerco di riprendermi, Marco ci porta il the e non appena si raffredda un pochino lo bevo quasi tutto d’un fiato. Avevo molta sete e durante la salita ho bevuto pressoché niente, parte del mal di testa è proprio dato dalla disidratazione oltre al buon contributo della quota. Dentro al rifugio siamo un po’ tutti rintronati siamo anche stanchi, io da parte mia con i pochi istanti di sonno ho quasi esaurito le forze. Ci facciamo le foto anche dentro il rifugio, ma poi usciamo per il troppo caldo e poi perché l’ora comincia a farsi tarda e la neve poi diventa fastidiosa da calpestare.

Usciamo sulla balconata del rifugio e faccio altre foto e brevi filmati al panorama, gustandomi gli ultimi minuti su questa fantastica cima.

Raduno gli altri e ci prepariamo per la discesa, calziamo i ramponi e ci leghiamo in cordata, questa volta davanti ci sta Marco di Lainate. Siamo gli unici due del gruppo a conoscere le manovre di corda e ora ci diamo il cambio.

Cominciamo a scendere dal ripido pendio della Punta Gnifetti e ci immettiamo poi nel bello e dolce ghiacciaio del Grenz in territorio Svizzero. Qui si scende dolcemente, ogni tanto una piccola pausa più che altro per toglierci qualche strato di giacche, comincia a fare caldo. Mentre scendiamo perdo un rampone e per fortuna un signore tedesco mi chiama da lontano. Purtroppo ci tocca ritornare indietro di poche decine di metri e recupero il rampone, il ghiaccio ha fatto spessore e quando li ho dovuti ricalzare sulla cima, non si sono agganciati perfettamente. Per fortuna che li ho persi poco indietro altrimenti mi toccava ritornare indietro alla ricerca del rampone perso.

Arriviamo nei pressi del Rifugio Gnifetti e qui comincia la zona crepacciata, bisogna fare molta attenzione in quanto con la neve più molle i ponti di neve sul ghiacciaio possono cedere. Consiglio a Marco di aspettare il passaggio di altre cordate per essere più sicuri e comunque vicini ad altra gente che nel caso finiamo in un crepaccio ci possa “aiutare”.

Difatti ci passa a fianco una cordata con una guida e noi ci accodiamo a loro, passiamo nei pressi dei primi crepacci, ma sono tutti abbastanza visibili non appena ci si avvicina di pochi metri. Marco che è davanti lo salta e a vicenda con picozza e ramponi ben piantati ci teniamo la corda ben tesa. In questo modo siamo pronti a trattenere la corda nel caso di una caduta. Con lo stesso sistema superiamo tutta la zona crepacciata e finalmente arriviamo vicino al rifugio Gnifetti e di li a poco la Rifugio Mantova, dove finalmente ci sediamo. Sono esausto e mi siedo su una roccia, dopodiché mi slego e sistemo tutta l’attrezzatura alla rinfusa nello zaino. Entro in rifugio per mangiare qualcosa, ma soprattutto per bere acqua e integratori di Sali, nella speranza mi passi il mal di testa e il senso di disidratazione che ho fin dalla cima.

Dopo esserci riposati qualche decina di minuti, ripartiamo verso il Passo dei Salati dove ci attende la funivia. E’ stata la discesa più lunga che ho fatto, la stanchezza me la rendeva lunga e noiosa, ma dentro di me ero comunque molto soddisfatto per l’impresa riuscita. Riprendiamo la funivia e dopo un buon aperitivo in un bar di Gressoney ce ne torniamo a casa.

E’ stata la mia prima salita da capocordata e mi ritengo davvero soddisfatto!!

09 Agosto 2008 – Rifugio Quintino Sella dalla Val d’Ayas

Oggi si riparte ancora per l’ultima salita su ghiacciaio che avevo programmato di fare, se ne capiteranno altre saranno improvvisate. Partiamo di buon mattino, mi raggiunge Selena una nuova amica conosciuta tramite internet ed insieme andiamo a prendere Manuela a casa. Da qui passando per Vercelli entriamo in autostrada e andiamo a Champoluc dove Marco e Federico ci aspettano. Durante il viaggio si parla di un po’ di tutto con la montagna come argomento principale. Per Selena è il suo primo 4000 ed molto entusiasta di partecipare alla nostra ascensione.

Arriviamo a Champoluc dove troviamo Marco che per ammazzare l’attesa di Federico ci invita a casa sua per bere qualcosa di fresco. La mamma e la nonna di Marco sono molto ospitali e dopo aver bevuto le salutiamo ringraziandole per l’ospitalità.

Scendiamo in paese per fare un po’ di spesa e raggiungiamo il piccolo paese di Saint Jacques dove troviamo Federico. Nel frattempo la Jeep Taxi che abbiamo prenotato per portarci fino al colle di Bettaforca ci aspetta nel parcheggio di Frachey. Carichiamo i nostri pesanti zaini e saliamo sulla Jeep. E’ la prima volta che prendo un mezzo motorizzato per salire su una mulattiera di montagna. Anche se sono un po’ contrario a queste cose troppo turistiche, il viaggio mi ha divertito parecchio in quanto l’autista aveva una guida piuttosto sportiva e salire le strade dissestate e i ghiaioni con la Jeep è una cosa fenomenale. Mentre salivamo con la Jeep riuscivo a mangiare il panino che mi ero preparato!!! Molto meno divertita è stata Manuela, che spesso mi stringeva la mano e non vedeva l’ora di scendere da quel mezzo infernale!!!

Arriviamo al colle di Bettaforca e ci fermiamo poco sopra per bere e mangiucchiare qualcosa di leggero prima di salire. Io tanto leggero non ero, visto che mi ero appena pappato un panino.

Partiamo di buona gamba e percorriamo la cresta che conduce alla Punta Bettolina, poi al passo inferiore e al passo superiore per poi sbucare dopo il tratto attrezzato al rifugio Quintino Sella. Il passoè buono e l’umore lo stesso. La giornata è soleggiata con qualche nuvola ogni tanto, che rinfresca la nostra salita. A turno portiamo la corda da 60 metri che pesa parecchio.

Lungo la salita non parliamo molto e risparmiamo il fiato per la lunga salita. Parliamo soltanto per dire buon giorno, salve ecc… alle persone che incontriamo. Il passo non è forzato, ma il peso che abbiamo sulle spalle toglie il fiato.

Facciamo una piccola sosta nei pressi di una casotta abbandonata, dove facciamo una piccola sosta ristoratrice. Ripartiamo alla volta del pendio più ripido di tutta la salita che ci porterà al tratto di cresta attrezzato. Risaliamo le prime roccette molto facili e ci troviamo davanti alla cresta, sullo sfondo e in cima ad essa vediamo sventolare un pezzo di bandiera oltre la quale sorge il rifugio.

Davanti c’è Marco con Selena, lo segue Federico e poi c’è Manuela e io. Il tratto non presenta difficoltà particolari, soltanto nei punti più esposti e aerei bisogna fare più attenzione in quanto è più facile scivolare o perdere l’equilibrio. In ogni caso c’è un canapone spesso quasi come quelli che si usano per le barche, lungo tutta la cresta a protezione di eventuali scivolate. E’ sufficiente tenersi per avere un punto ben saldo.

Superiamo tutti il tratto di cresta brillantemente e senza nessuna difficoltà e finalmente vediamo il rifugio. E’ un emozione per me essere arrivato li, dopo anni di contemplazione e desiderio di vedere questo angolo della mia valle preferita da vicino. Finalmente ci ho messo piede e potrò passare una notte in quel rifugio che fin da ragazzino ho sempre desiderato salire.

Prendiamo subito posto nella camere e ci sistemiamo, oltre a noi c’è un francese e due ragazzi italiani. Io e Manuela scendiamo in sala da pranzo per bere e mangiare qualcosa, ho parecchia sete come spesso accade in alta quota, poi esco a fare le foto fuori dal rifugio. In attesa della cena decidiamo di fare un piccolo riposino.

Quando ci alziamo è ora di scendere a mangiare, il sole comincia a calare le cime e le poche nuvole rimaste si incendiano di un rosso strepitoso. I tramonti di alta montagna sono sempre i più lunghi e straordinari che abbia mai visto, ma durano sempre troppo poco per poterli vivere a pieno. Un attimo fuggente della giornata che rincuora e rende più sereni.

Andiamo a tavola e con noi c’è un ragazzo che è salito da solo, ci chiede se abbiamo posto in cordata per lui. Non è che volevo essere scortese o maleducato, ma una persona che non conosco e tra l’altro senza attrezzatura non me la lego. Inoltre dalle domande che faceva si vedeva che non aveva mai messo piede su un ghiacciaio e nemmeno aveva l’idea di come si salisse. Probabilmente non aveva nemmeno mai fatto escursioni impegnative, perché alla domanda:” Ma sul Castore si sale con i piedi o si mettono giù le ginocchia??” ho capito che non aveva nessuna esperienza. Il rischio è che io non sono una guida alpina e nemmeno un alpinista con una esperienza di cime e grandi traversate alle spalle. E poi sono salito fin qui per arrivare in cima e anche se avrei ovviamente rinunciato alla salita se un componente della mia cordata avrebbe avuto problemi, non voglio comunque aumentarne le probabilità.

Finito di cenare ultime foto alla pianura vista dall’alto e poi a dormire per raccogliere le energie per la salita del giorno dopo. Prima di addormentarci con Manuela, decidiamo di fare una piccola pausa dalla Montagna andando tre giorni al mare.

10 Agosto 2008 – Punta Castore – Monte Rosa

Ci svegliamo molto presto alle 4.30 in modo che possiamo fare colazione con calma e uscire senza correre a legarci. Purtroppo nessuno dei ragazzi, a parte me e Manuela conoscono le manovre di corda; mi tocca quindi legare prima tutti e dare una spiegazione veloce dei nodi che sto facendo e della loro utilità. Io e Manuela siamo soli in cordata, mentre Marco, Federico e Selena si sono legati tra loro. Dopo la lunga operazione di legatura, siamo praticamente gli ultimi a lasciare il rifugio, tutte le altre cordate di persone che erano fuori a legarsi e a prepararsi sono già partite. Ci incamminiamo con passo lento, dobbiamo ancora ingranare e a queste quote risulta molto più lenta. Ci incamminiamo lungo il dolce ghiacciaio del Felik e noto con piacere che non si vede un crepaccio aperto, sono tutti ben chiusi e la traccia è ben evidente. Il ghiacciaio è in perfette condizioni e la cosa mi tranquillizza molto. Mentre cammino, sento spesso tirare la corda, è Manuela che, per colpa del mio passo troppo lungo, mi strattona per farmi rallentare. E’ la prima volta che mi lego solo con lei e non nascondo la mia preoccupazione. Purtroppo ho ereditato una certa apprensione verso le persone a cui voglio bene.

Arriviamo appena sotto il colle del Felik e ci concediamo una pausa, nonostante siamo partiti per ultimi, ci siamo avvicinati abbastanza alle altre cordate e il nostro passo è buono.

Ripartiamo e affrontiamo la ripida salita al colle del Felik; superiamo la crepaccia terminale che ci immette al colle senza difficoltà, anch’essa è ben chiusa e sicura. Ora siamo sulla lunga cresta che a prima vista sembra molto facile e sufficientemente larga. Cominciamo a trovare le prime cordate che scendono e a volte bisogna esporsi sul pendio per lasciar passare. Fortunatamente su questa cresta i punti più critici sono solo due e molto brevi. La cordata di Marco rimane sempre davanti a noi e procedono bene, anche Selena per il suo primo 4000 si sente in forma nonostante gli ovvi problemini di quota.

Arriviamo su un grosso spiazzo della cresta, una specie di secondo e più ampio colle, dove ci riposiamo un attimo. Qui raggiungiamo una cordata formata da una famigliola: Padre che fa capo cordata, il figlio di 10 anni e dietro la madre. Il bambino è spaventato per la cresta che ai suoi occhi è molto esposta e grande, ma è anche stanco perché un passo del padre corrisponde a due o tre passi suoi. Lo incoraggiamo e gli facciamo i complimenti, mi fa venire in mente quando da ragazzino, poco più grande di lui ero ai piani di Verra con mio padre e pensavo a quale impresa e a quale pericoli mi sarei esposto per raggiungere questa cima. A quei tempi erano cose molto eroiche per me, ed ora vedere quel ragazzino mi rivedo nella realizzazione del mio sogno d’infanzia.

Dopo il piacevole incontro ci rimettiamo in cammino, ora dobbiamo risalire il pendio che ci porta sulla Punta Felik e successivamente inizia la serie di sali scendi esposti in cresta che ci portano in cima. Qui ci raccomandiamo di tenere sempre tesa la corda e di stare con gli occhi aperti, ma soprattutto di camminare con cautela e senza inciampare. Da ora i pendii diventano molto più ripidi e la cresta più affilata. Restiamo anche distanziati dalle altre cordate per maggiore sicurezza e per non incorrere a soste improvvise nei punti più critici. Uno dei passaggi è al limitare di una cornice di neve molto esposta sospesa nel ripido pendio sud del castore. Fortunatamente il ghiaccio e la neve sono ben consolidati e passiamo veloci senza nessun problema. Non ho nessuna vertigine, la paura maggiore è quella di inciampare con i ramponi ai piedi.

Passato il primo punto critico, ci troviamo poco dopo ad affrontare il secondo. Questa volta dobbiamo percorrere un tratto di cresta molto affilato e con dei decisi e quasi verticali pendii. Dobbiamo solo superare il breve dosso che conta circa 8 – 10 metri, ma sono sufficienti per farti dire “cavoli se cado di qui, mi recuperano a pezzi 300 metri più sotto”!!! Arrivato al culmine del dosso l’esposizione è massima fino alla breve discesa. In meno di cinque minuti abbiamo superato anche questo punto esposto e la cresta, restando sempre affilata e moderatamente esposta, ci lascia passare senza difficoltà. Siamo ad un passo dalla cima e anche qui l’emozione è forte, sto salendo la cima gemella del Polluce concludendo così l’ascensione alle cime più bramate dal punto di vista affettivo. Pochi passi e finalmente sono sulla cima. Non me ne sono reso subito conto perché sembrava che proseguisse ancora per qualche metro, invece in un baleno sono sulla sua sommità. Sono felice e la prima cosa che guardo e la Val d’Ayas dalla sua cima più importante e alta. Vedo nitidamente il Monte Zerbion, tutta la conca di Antagnod, e poi Champoluc, il torrente Evancon, e ancora più sotto i Piani di Verra, il Lago Blu, il Rifugio Mezzalama. Vedo tutte le volte che ho percorso quei sentieri in un solo momento. Sono talmente in alto che con un dito riesco a coprire il Pian di Verra. Sono emozionato, mi complimento con Manuela, è un ottima compagna in tutti sensi, mi complimento con Marco Federico e Selena. Anche Selena è emozionata, si legge la felicità nei suoi occhi e lo stesso vale per Federico che è al suo secondo 4000. Federico è davvero entusiasto della Montagna e ne ha anche le capacità gli auguro di riuscire nel suo sogno.

Ci sediamo sulla cima e ci gustiamo il momento, ci facciamo un paio di foto di gruppo e sento qualcuno che chiama con il telefonino. Allora lo accendo anch’io e non appena la linea si aggancia chiamo mio padre per avvisarlo che sono in cima. Sono emozionato mentre parlo ma cerco di trattenermi, sono troppo felice e orgoglioso di aver messo piede su questa cima. E’ una salita facile, e non è nemmo uno dei 4000 più alti, ma il valore affettivo è enorme. Arrivano anche i vicini di casa di Marco, padre e figlia, che hanno ingaggiato la guida per fare l’ascensione del Polluce e del Castore da Ovest, compiendo una traversata in quota molto bella, che ho intenzione di fare anch’io il prossimo anno, in vero stile alpino.

Aspettiamo le ultime cordate che stanno salendo per evitare l’intoppo e lo scontro sulla cresta e nel frattempo arriva la famigliola. Facciamo i complimenti al bambino che mostra una certa seccatura per aver fatto tutta quella fatica per arrivare in cima. Forse avrebbe preferito restare a valle a giocare a pallone, ma sicuramente tra qualche anno quando spero capirà il valore di certe cose, ne sarà molto orgoglioso.

Sono arrivate le altre cordate rimaste indietro e lasciamo il posto a loro sulla piccola cima. La discesa sulla cresta risulta facile anche nei punti più esposti e in breve tempo la percorriamo, abbiamo dovuto solo evitare una cordata che saliva, fecendo dei passaggi un po’ contorsionistici. Siamo tutti contenti e non sentiamo la fatica, raggiungiamo il piccolo pianoro sotto la Punta Felik, facciamo qualche foto ancora e poi scendiamo al colle e ancora giù fino alla base del Colle del Felik. Felici facciamo una pausa e poi scendiamo diretti per la massima pendenza verso il rifugio, siamo così contenti che ci mettiamo a correre lungo il pendio nevoso fino ad arrivare alla piana del rifugio, dove cominciamo a slegarci. Nel frattempo arrivano anche Marco, fede e Selena. Ci sistemiamo e preparo lo zaino per la discesa, mi tolgo le lenti a contatto e raggiungo gli altri per mangiare i panini. Si discute delle salite e scambiamo qualche battuta per ridere un po’, siamo tutti molto soddisfatti.

Dopo aver mangiato cominciamo a scendere verso valle. Questo è il momento più brutto, sia perché lasci un posto meraviglioso e sia perché la discesa a valle è sempre più faticosa e noiosa della salita.

Le mie ginocchia reggono benissimo e non sento il bisogno di usare i bastoncini per aiutarmi nella discesa. Superiamo la cresta attrezzata senza problemi e al termine di essa troviamo due famigliole con bimbi piccoli che vogliono passare. Li guardo con preoccupazione, perché portare dei bambini piccoli sul tratto attrezzato senza assicurarli non la vedo molto prudente. Non tanto per la pericolosità dei passaggi, ma quanto per l’ingenuità dei bambini a cacciarsi nei guai.

Continuiamo a scendere e mi passa per la testa di scendere a piedi fino a valle senza prendere la Jeep Taxi, ma poi visto l’orario e visto che stava per mettersi a piovere ho abbandonato l’idea. Poi sinceramente preferivo risparmiare le mie ginocchia per la settimana successiva dove mi aspetta l’alta via della Val Malenco.

Arriviamo nei pressi del Colle di Bettaforca, dove incontriamo due stambecchi che ci guardano dall’alto. Gli faccio un paio di foto e scendiamo al colle dove poco dopo arriva la Jeep che ci porta in paese. Questa volta il viaggio è stato più tranquillo e Manuela era più sollevata!!

Arrivati a Champoluc, Marco ci invita a casa sua per una bevuta veloce e per autografare il suo libro che ho comprato.

Con Manuela torniamo a casa e contenti della salita pensiamo ai giorni che passeremo al mare assieme.

17 Agosto 2008 – Rifugio Gianetti – Val Porcellizzo – Valmasino (SO)

Oggi si parte per la settimana sulle montagne di Lombardia che ci porterà in Valmasino e poi in Valmalenco. Manuela mi raggiunge a casa mia e insieme partiamo per la Valmasino. Il viaggio non è molto lungo e per fortuna non troviamo traffico. Ci fermiamo a fare colazione e per fare un po’ di spesa; abbiamo deciso di fare il solo pernotto in rifugio e di portarci il nostro cibo. E’ una prova che se funziona, ci fa risparmiare il 50% sul costo di un fine settimana in rifugio. Facciamo la spesa con molta calma in un negozietto di Filorera e dopo un buon cappuccio e brioches ci dirigiamo alle Terme dei Bagni di Masino dove parcheggiamo al costo di 5 euro.

Ci prepariamo, sempre con la calma di chi finalmente è in ferie e cominciamo a camminare verso l’inizio del sentiero, poco oltre la struttura termale. Siamo ancora a quote relativamente basse e la vegetazione e ancora alta. Ci inoltriamo nel bosco e subito siamo su una piccola mulattiera che finisce presto trasformandosi in sentiero. Si sale a zig zag nel bosco con passo lento e tranquillo, non abbiamo fretta in quanto ci dobbiamo fermare in rifugio a dormire. Abbiamo deciso di fare un’escursione con tranquillità e di goderci le due giornate senza correre. Ogni tanto facciamo una pausa e con la scusa mi guardo intorno, nel bosco ci sono parecchi muschi e il profumo è decisamente gradevole. Purtroppo sopra di noi ci sono un po’ di nuvole e l’aria è leggermente umida. Speriamo che non piove, tra l’altro secondo le previsioni il tempo va a migliorare.

Dopo un’ora di cammino nel bosco ne usciamo passando vicino ad alcune baite abbandonate chiamata la Corte Vecchia, qui la vegetazione torna ad essere alta e a volte il sentiero e poco visbile. Continuiamo a camminare fino a passare in mezzo ad una gola rocciosa, dove troviamo una scritta enorme in greco. Ci domandiamo cosa potesse significare, ma poi guardando bene sulla roccia notiamo degli spit e quindi intuiamo che quello deve essere il nome della via di arrampicata. Io e Manuela continuiamo a parlare di arrampicata e ci sta venendo voglia di andare a fare qualche tiro di corda qualche giorno. Mi piacerebbe moltissimo riprendere ad arrampicare, soprattutto ora che ho una compagna che mi potrebbe seguire anche in questo.

Dopo la pausa ad ammirare i grossi massi, continuiamo a camminare e finalmente si comincia a vedere, anche se coperto dalle nuvole e senza la luce del sole che da il tocco magico, tutto l’anfiteatro roccioso. Le prime guglie appaiono, un po’ sporche e coperte di vegetazione ma si intuisce che il bel granito che costituisce queste montagne sarà molto suggestivo più in alto.

Superiamo la grande radura e risaliamo di nuovo sui ripidi pendii fino a guadare una piccola cascata. Qui finalmente lasciamo quasi definitivamente il bosco e la vegetazione alta ed entriamo nel bello della media montagna. Camminando per altre decine di minuti arriviamo finalmente alle piccole baite della Val Porcellizzo. Io e Manuela parliamo di molte cose e il tempo trascorre piacevolmente senza che ci accorgiamo del suo passare. Dalle baite di Porcellizzo ammiriamo il bel anfiteatro roccioso con il contrasto netto tra la vegetazione e la roccia pulita del granito. Purtroppo tutte le cime sono coperte da uno strato di nuvole, che da li a sera si sarebbero dovute diradare. Da una parte è un bene perché abbiamo fatto tutta la salita con la frescura tipica della montagna, ma dall’altra mi tocca aspettare il giorno dopo per ammirare la bellezza delle cime. Decidiamo di sostare poco più avanti nei pressi del ponte sul piccolo torrente dove ci prepariamo i nostri panini che abbiamo comprato a valle. Incrociamo poche persone, alcune scendono altre salgono verso il rifugio. Noi con molta calma e godendoci la giornata mangiamo e continuiamo a parlare.

Dopo circa tre quarti d’ora, decidiamo di rimetterci in cammino, ora ci aspetta la salita finale che soprattutto dopo la sosta ristoratrice sarà più dura.

Saliamo il ripido pendio di fronte a noi e dopo una serie di piccole dunette si vede finalmente il rifugio in lontananza. Le nuvole continuano a scendere più basse ed hanno quasi raggiunto il rifugio. Continuiamo a sperare che non piova, ma nello stesso tempo non abbiamo fretta di arrivare.

Dopo qualche foto e piccola pausa per prendere fiato, arriviamo finalmente in rifugio ed entriamo per prendere posto. La rifugista ci accoglie e ci da l’accesso alla nostra camera. Il rifugio all’interno è bello e abbastanza confortevole, le camerate sono da 10 posti circa e nella nostra camera per fortuna siamo solo in 4. In tutto il rifugio oltre noi ci sono un piccolo gruppo di tedeschi, due persone e un altro piccolo gruppetto di arrampicatori italiani. Visto che è ancora presto per la cena, ci prendiamo un the e mangiamo qualche biscotto che abbiamo con noi. Per la cena invece abbiamo deciso di prendere solo un piatto di pasta e mangiarci le nostre cose. Ogni tanto vado fuori per controllare se le nuvole se ne sono andate, ma sono ancora basse anche se, un pochino, sembra che si stiano alzando. Per ammazzare il tempo, che in rifugio passa sempre lento, andiamo nella nostra camera per riposare un attimo e poi scendiamo giù nel salone in attesa della cena.

Nell’attesa ci leggiamo qualche rivista e ne scopro una molto interessante e ben fatta che tratta tutte le montagne e i luoghi della nostra regione, tanto che decido, non appena scendiamo a valle, di acquistarla.

E’ ora di cena e ci portano la pasta al forno, molto buona e come secondo ci mangiamo la nostra bresaola e il nostro formaggio. Dopo cena una veloce scrutatina fuori dalla porta e noto con piacere che cominciano a vedersi le stelle. Il giorno dopo ci sarà sicuramente bel tempo. Ritorniamo nel salone e continuiamo a leggere le nostre riviste fino a quando il sonno prende il sopravvento e decidiamo di andare a dormire.

Il giorno successivo ci svegliamo e quando esco dal rifugio per vedere quante nuvole ci sono, rimango meravigliato dalla bellezza delle cime di granito del Pizzo Badile e del Cengalo. Il cielo è azzurro intenso e non c’è una nuvola tutto intorno, lo spettacolo del verde spezzato dalle guglie rocciose è stupendo. Guardando il Cengalo e sentendo che la via di salita è facile, mi sono prefissato di scalarlo il prossimo anno o se riesco nell’autunno. Dopo la colazione scendiamo a valle e spesso mi giro per ammirare lo spettacolo di queste cime. Nella discesa decidiamo di fermarci lungo il torrente per ammirare la bellezza di questo luogo e di godere della bellissima giornata che si è aperta. Dopo un’ora circa scendiamo a valle e contenti della nostra gita ci dirigiamo in campeggio per riposare. I giorni a seguire ci aspetta l’alta Via della Valmalenco.

 
 
 
 
 
 
 
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